di Antonio Musella*
Premessa
Nel continuo proliferare di sigle, termini ed espressioni, spesso anglosassoni, che invadono la cronaca finanziaria ormai quotidiana, un nuovo spettro agita i sonni di chi di finanza vive o con la finanza opera nei mercati: il BAIL IN.
Nel recente passato abbiamo fatto giusto in tempo a familiarizzare con il bali out con cui sono state gestite alcune crisi bancarie e non rivenienti dal propagarsi della crisi dei mutui sub prime (dagli Usa) in Europa, area in cui il virus si è trasformato in crisi dei Debiti Sovrani (Grexit docet), ed è già tempo, dal 1° gennaio 2016, di fare conoscenza con il diretto discendente del bail out, ovvero il bail in.
Tentiamo di procedere per gradi, assegnando ai vari termini che ricorrono una loro precisa collocazione e contestualizzazione rispetto alla fase in cui gli stessi, e gli interventi tecnici che sottendono, sono stati formulati e quindi congegnati.
La BRRD
La Bank Recovery and Resolution Directive è la direttiva europea che introduce in tutti i paesi europei regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento. E’ la risposta alle crisi bancarie che hanno caratterizzato lo scenario economico europeo, e non solo, del periodo 2009-2015, coincidente con il letale binomio Sub Prime- Debiti Sovrani. Già dal suo acronimo si rileva come centrale il termine Resolution, ovvero Risoluzione: ma che cos’è la risoluzione di una banca? Sottoporre una banca a risoluzione significa avviare un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti – le autorità di risoluzione – che, attraverso l’utilizzo di tecniche e poteri offerti ora dalla BRRD, mira a evitare interruzioni nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (ad esempio, i depositi e i servizi di pagamento), a ripristinare condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca e a liquidare le parti restanti. L’alternativa alla risoluzione è la liquidazione, che nel nostro ordinamento esiste già ed è denominata Liquidazione Coatta Amministrativa.
La Risoluzione
La legge delega di recente approvata (luglio 2015) dal Parlamento con cui si recepisce la BRRD prevede che le funzioni di risoluzione in Italia siano affidate alla Banca d’Italia.
In genere la risoluzione sarà perseguita quando un istituto di credito è in dissesto o a rischio di dissesto (ad esempio, quando, a causa di perdite, l’intermediario abbia azzerato o ridotto in modo significativo il proprio capitale) e non si ritiene che misure alternative di natura privata (quali aumenti di capitale) o di vigilanza consentano di evitare in tempi ragionevoli il dissesto dell’intermediario; insomma quando la strada di una liquidazione ordinaria non permetterebbe di salvaguardare la stabilità sistemica, di proteggere depositanti e clienti, di assicurare la continuità dei servizi finanziari essenziali. In questo caso la risoluzione è necessaria nell’interesse pubblico.
Le autorità di risoluzione (in Italia la Banca d’Italia) potranno:
vendere una parte dell’attività a un acquirente privato;
trasferire temporaneamente le attività e passività a un’entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una successiva vendita sul mercato;
trasferire le attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli;
applicare il bail-in, ossia svalutare azioni e crediti e convertirli in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali.
Il BAIL IN
Ecco quindi dove si colloca il famoso bail in: è uno degli strumenti che la BRRD mette a disposizione del Risolutore per gestire le crisi bancarie.
Svalutare le azioni e convertire crediti in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca vuol dire rendere partecipi del salvataggio gli stessi azionisti e creditori della banca, cioè ricorrere a un salvataggio ‘interno’, a carico cioè della banca stessa e non della collettività, come avviene per esempio attraverso l’intervento dei singoli Stati o dei Fondi Europei, salvataggio definito appunto bail out.
Ciò non vuol dire che un intervento pubblico non sia più previsto: è previsto soltanto in circostanze straordinarie per evitare che la crisi di un intermediario abbia gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema finanziario nel suo complesso. L’attivazione dell’intervento pubblico, come ad esempio la nazionalizzazione temporanea, richiede comunque che i costi della crisi siano ripartiti con gli azionisti e i creditori attraverso l’applicazione di un bail-in almeno pari all’8% del totale del passivo.
La riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in misura sufficiente proseguiranno sino a ripristinare un’adeguata capitalizzazione e a mantenere la fiducia del mercato.
Gli azionisti e i creditori non potranno in nessun caso subire perdite maggiori di quelle che sopporterebbero in caso di liquidazione della banca secondo le procedure ordinarie.
Ma esiste una gerarchia negli strumenti sottoposti a bail in, oppure qualunque sia l’attività finanziaria in possesso dell’azionista, creditore o semplice correntista essa potrà essere oggetto indiscriminatamente della risoluzione via bail in?
Le autorità hanno previsto una vera e propria classifica di ammissibilità e inammissibilità di strumenti al bail in, riassumibili nella tabella sotto riportata:
STRUMENTI SOGGETTI E GERARCHIA DEL BAIL IN | PRINCIPALI STRUMENTI ESCLUSI DAL BAIL IN |
Azioni e strumenti di capitale | Depositi fino a 100.000 euro
Passività garantite (es. covered bond) Debiti verso dipendenti, fisco, enti previdenziali, fornitori |
Titoli subordinati | |
Obbligazioni e altre passività assimilabili | |
Depositi > 100.000 euro di persone fisiche e PMI |
Se la tabella la interpretiamo spostandoci dagli strumenti ai possessori o portatori degli stessi, l’ordine di priorità di coinvolgimento nel bail in è il seguente:
i) gli azionisti; ii) i detentori di altri titoli di capitale, iii) gli altri creditori subordinati; iv) i creditori chirografari; v) le persone fisiche e le piccole e medie imprese titolari di depositi per l’importo eccedente i 100.000 euro; vi) il fondo di garanzia dei depositi, che contribuisce al bail-in al posto dei depositanti protetti.
Le conseguenze operative per banche e cosa rischiano i depositanti
Come accennato in precedenza, il bail in sarà operativo dal 1 gennaio 2016. Il suo avvento costringerà Banche e Investitori a porre maggiore attenzione alla proposizione (Banche) e sottoscrizione /acquisto (Investitori) degli strumenti finanziari. Più in dettaglio le banche dovranno riservare gli strumenti di debito diversi dai depositi agli investitori più esperti, soprattutto quando si tratta di strumenti subordinati, ossia quelli che sopportano le perdite subito dopo gli azionisti. Di tutto questo le banche dovranno dare comunicazione tempestiva alla loro clientela; l’informazione andrà fornita, con estremo dettaglio, al momento del collocamento di titoli di nuova emissione.
Ma accanto agli investitori opera un’ulteriore categoria di clienti, i depositanti, che spesso coincidono con gli investitori. Cosa si rischia sul fronte dei depositi con il bail in?
I depositi fino a 100.000 euro, cioè quelli protetti dal Fondo di garanzia dei depositi, sono espressamente esclusi dal bail-in. Questa protezione riguarda, ad esempio, le somme detenute sul conto corrente o in un libretto di deposito e i certificati di deposito coperti dal Fondo di garanzia; non riguarda, invece, altre forme di impiego del risparmio quali le obbligazioni emesse dalle banche.
Anche per la parte eccedente i 100.000 euro, i depositi delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese ricevono un trattamento preferenziale. In particolare, essi sopporterebbero un sacrificio solo nel caso in cui il bail-in di tutti gli strumenti con un grado di protezione minore nella gerarchia fallimentare non fosse sufficiente a coprire le perdite e a ripristinare un livello adeguato di capitale.
I depositi al dettaglio eccedenti i 100.000 euro possono inoltre essere esclusi dal bail-in in via discrezionale, al fine di evitare il rischio di contagio e preservare la stabilità finanziaria a condizione che il bail-in sia stato applicato ad almeno l’8% del totale delle passività.
*Docente e Consulente nelle discipline bancarie e finanziarie. Socio Onorario dell’associazione degli operatori di tesoreria e cambi Atic Forex