Giampietro Vecchiato *
Nella vita di ogni organizzazione è molto probabile che prima o poi si verifichi una situazione di crisi. Quello che fa realmente la differenza tra un’azienda gestita efficacemente ed una che si affida all’improvvisazione è il modo di affrontarla e, soprattutto, di comunicarla. La comunicazione non si riferisce solamente alla fase acuta della crisi, ma anche alla fase post-crisi e alle modalità utilizzate dal management per superare la crisi stessa.
Il 70% del valore di un’azienda quotata è determinato dagli asset intangibili. È chiaro, quindi, che l’impatto di una crisi può essere molto pesante da un punto di vista della reputazione e, di conseguenza, del suo valore, anche economico.
Spesso le crisi non sono improvvise, ma l’organizzazione aziendale viene colta di sorpresa: manca una pianificazione, mancano strumenti e procedure. Intervenire “dopo”, quando la crisi è scoppiata con tutta la sua forza, è impossibile se mancano l’approccio, culturale e professionale, e gli strumenti operativi.
È, quindi, nei primi momenti di una crisi che ci si gioca la possibilità di uscirne bene. Le capacità del management e dei dipendenti deve quindi essere allenata ad intervenire rapidamente e con efficacia, anche per evitare i rumors che diventano leggenda metropolitana e che seguono in modo ineluttabile la vita dell’azienda.
Due strumenti di comunicazione possono contribuire in modo determinante all’efficacia delle azioni scaccia crisi: internet e le media relation.
Internet, strumento ancora troppo spesso sottovalutato dalle aziende italiane, può far rimbalzare la notizia in tutto il pianeta in tempi rapidissimi. È, quindi, necessario fare molta attenzione a questo nuovo media: con internet la notizia diventa globale, tutti i processi di comunicazione vengono accelerati e, soprattutto, si crea un “luogo della memoria” nel quale tutti possono pescare, per sempre.
Il secondo strumento è quello che tradizionalmente viene chiamato ufficio stampa o media relation. Il silenzio stampa come strumento di comunicazione può avere effetti più fragorosi di qualsiasi parola o comunicato stampa. Inoltre, non “blocca” il lavoro di indagine del giornalista che di fronte ad una notizia può trovare informazioni nei luoghi e nelle persone più impensate. Infatti, compito principale del giornalista è quello di trovare le notizie, in qualsiasi modo, a qualsiasi costo.
Le domande da porsi sono quindi: è preferibile che a parlare siano gli altri? È meglio far sentire la voce ufficiale dell’azienda o il silenzio stampa? Meglio ignorare l’emittente o attaccare la fonte? Ammettere o negare? La questione centrale del processo di gestione della crisi è quindi quella di individuare una modalità di comunicazione trasparente ed efficace, mentre l’atteggiamento deve essere di disponibilità, apertura al dialogo, di sincera comprensione per le preoccupazioni degli interlocutori coinvolti e per il ruolo dei media.
Come affrontare la crisi
La difficoltà maggiore nel presentare sinteticamente una metodologia per affrontare le situazioni di crisi sta nell’impossibilità di compilare una lista completa delle possibili varianti che si possono incontrare. Questo comporta che, mentre è possibile delineare i requisiti di una crisis room ideale, standardizzare i ruoli di un’unità di crisi e definire i flussi di informazione durante una emergenza, è impossibile definire strategie standard per affrontare tipologie di crisi anche similari. Non è cioè possibile individuare un modello teorico di gestione della crisi (per il sabotaggio di un prodotto, per esempio, o per l’incidente industriale di un impianto chimico) che possa reggere al confronto con la realtà pratica; anzi, modelli operativi rigidi corrono il rischio di essere fuorvianti e di indurre ad approcci e comportamenti negativi.
Affrontare con successo una crisi richiede infatti due dati fondamentali: un meticoloso lavoro preventivo e una notevole esperienza. Ogni crisi ha un inizio e una fine, quello che sta nel mezzo è il percorso della crisi e va subito precisato che individuare i possibili punti di partenza e di arrivo consente di governare il processo e, soprattutto, di intervenire per abbreviarne il percorso e la durata. Sessanta minuti è il tempo necessario, secondo J. E. Lukaszewski della New York University, per gestire una situazione di crisi, minimizzando il danno. Si chiama golden hour, ora d’oro, perché una organizzazione in pochi minuti può decidere il suo destino.
Le opzioni possibili sono infatti due: risollevare le proprie sorti e salvare la reputazione oppure cadere nel vortice della crisi. Per intervenire tempestivamente è necessario capire che la crisi è innanzitutto un problema di comunicazione: in primo luogo, verso l’interno, verso i manager e i dipendenti, che devono sapere e capire cosa accade; in secondo luogo, verso l’esterno, verso tutti i pubblici e verso i mass media. Verso l’esterno, ogni azienda deve “parlare” con cinque macro-interlocutori: gli azionisti, i dipendenti, le istituzioni, i clienti e l’opinione pubblica e l’azienda che comunica con efficacia è quella che persegue i suoi obiettivi dialogando e ascoltando ogni interlocutore, dosando il giusto mix di comunicazione. È infatti necessario attivare un flusso di comunicazione con i media, commentare “per primi” e gestire il processo di comunicazione, senza subirlo.
Da subito si può infatti far trasparire la percezione che l’organizzazione ha di sé, i principi etici che la guidano, l’immagine che si vuole trasmettere. Anche secondo Eva Jannotti sono la trasparenza dei comportamenti, la disponibilità a fornire dati, cifre e ogni elemento utile a comprendere le cause e le origini dell’emergenza, insieme ad una informazione chiara, gli elementi indispensabili per essere credibili e autorevoli nel processo di comunicazione.
Per raggiungere questo obiettivo va, quindi, effettuata un’approfondita analisi della vulnerabilità dell’azienda, stilando una lista dei punti deboli. Questa fase richiede molto tempo e va implementata con una costante attività di monitoraggio delle issues critiche. L’obiettivo è quello di costruire una scala di priorità che consenta di valutare le situazioni più probabili in modo da diffondere, in tutta l’organizzazione, cultura e attenzione per la crisi e la sua gestione.
Il modo in cui la crisi viene gestita ha profonde conseguenze sulla possibilità e sulla velocità di recupero dell’azienda. Se quest’ultima non è preparata ad affrontarla, il rischio è di non riuscire a mantenere il controllo degli avvenimenti e delle loro conseguenze. Spesso invece è la paura a colpire e a guidare i vertici dell’organizzazione colpita dalla crisi; è la paura che induce l’organizzazione a gestire in modo inadeguato la situazione e, talvolta, a rinunciare alla gestione della crisi stessa, cedendo al peggiore degli atteggiamenti: l’immobilismo.
Obiettivo del professionista che si occupa di crisis management è quello di ristabilire ordine in una situazione che rischia di degenerare, salvaguardando la sicurezza delle persone, garantendo la business continuity, proteggendo il patrimonio aziendale e la sua reputazione.
In sintesi: ridurre al minimo i rischi. Per gestire efficacemente le situazioni di crisi vanno quindi approfonditi due aspetti: uno di prevenzione (gestione del rischio: risk management) e uno di preparazione al controllo dell’avvenimento qualora si verificasse (gestione della crisi: crisis management). Nella fase di gestione del rischio vanno analizzati, come abbiamo visto, tutti gli avvenimenti critici a cui l’azienda potrebbe essere esposta e vanno attentamente studiate le possibilità e la gravità del danno, sia in termini economici che della reputazione. “Prevedere per prevenire”: così definisce Emanuele Invernizzi. Nella fase di gestione della crisi l’azienda si prepara invece ad affrontare avvenimenti nell’eventualità che le azioni di prevenzione non risultino sufficienti a evitare la crisi.
Questi, in sintesi, alcuni principi e linee guida da tenere presente in questa importante fase del processo:
– la crisi non è un fatto imponderabile e non va mai sottovalutata;
– è necessario prepararsi quando nulla la lascia prevedere (programmare per proteggersi);
– tutti devono conoscere il ruolo ed i comportamenti da adottare per contribuire ad isolare l’avvenimento e/o limitare i danni (procedure di allertamento e di intervento);
– va identificata un’unità di crisi (task force) che ha il compito di gestire tutte le fasi dell’evento;
– dire sempre la verità; evitare le false dichiarazioni ed i no comment;
– comprendere e affrontare le preoccupazioni, le ansie e le paure dei pubblici coinvolti direttamente dalla situazione;
– offrire la massima fiducia agli specialisti (avvocati e/o tecnici del settore), ma affidare i rapporti con l’opinione pubblica, i clienti, i mass media ad un esperto di comunicazione (meglio se ad un esperto di “comunicazione di crisi”) e centralizzare il flusso delle informazioni, sia verso l’interno che verso l’esterno;
– non cullarsi nell’idea o nella speranza che la crisi termini da sola e, soprattutto, senza lasciare danni;
– isolare la gestione della crisi dall’ordinaria amministrazione;
– prendere coscienza che la fine di una crisi comporta sempre una rinuncia, un’assunzione di responsabilità, un accordo (meglio un sacrificio consapevole oggi che un “ritorno” amplificato domani);
– nella fase di pianificazione e di gestione assumere sempre l’ipotesi peggiore;
– identificare ed eventualmente mobilitare potenziali alleati;
– quando si valutano i danni vanno considerati sia quelli economici (di mercato), che quelli all’immagine e alla reputazione aziendale.
* Docente CUOA – Seminari per imprenditori
Docente a contratto Università di Padova