Francesco Gatto *
L’indagine, rivolta ai ruoli dell’area amministrazione, finanza e controllo (CFO, Controller, Tesorieri ecc.), è stata promossa dal Club Finance della Fondazione CUOA presso un campione di circa 70 aziende industriali del Nordest.
La survey è stata condotta nei mesi di giugno, luglio e agosto 2012 attraverso un questionario a risposte multiple. L’obiettivo era quello di rilevare, in una fase congiunturale estremamente delicata, il punto di vista delle imprese rispetto allo sviluppo della relazione con i soggetti deputati al finanziamento esterno delle imprese: in primo luogo le banche e in secondo luogo gli operatori di private equity.
Il campione che ha risposto all’indagine è composto prevalentemente da piccole e medie imprese: circa un 60% di aziende con un fatturato nella fascia 0 – 50 milioni di euro, un 24% compreso nel range 50 – 250 milioni e, infine, un 16% oltre i 250 milioni di euro.
Quali sono i principali aspetti che emergono dall’indagine?
Quanto al rapporto tra imprese e sistema bancario, possiamo affermare che appare una volontà delle imprese di voler impostare un rapporto su basi maggiormente collaborative, ma, al tempo stesso, balzano agli occhi, in modo molto chiaro, alcune modalità di relazione ancora legate a schemi del passato, ed evidentemente difficili tuttora da superare completamente.
Entrando più nel dettaglio, circa il 72% del campione auspica una progressiva concentrazione dei rapporti con il sistema bancario fino a concepire un rapporto di vera e propria partnership. Rispetto poi alla rilevazione dei principali fattori di scelta delle banche con cui lavorare, in una scala di valutazione con 4 opzioni alternative (per nulla importante, poco importante, importante, indispensabile), le imprese danno risalto soprattutto alla professionalità degli interlocutori (circa il 70% del campione ritiene indispensabile tale fattore) e alla capacità di valutare un piano industriale (il 40% del campione considera indispensabile tale capacità). Al contrario, e in modo inaspettato, solo un 23% del campione considera indispensabili le condizioni economiche praticate dalla banca come criterio di scelta: un dato sicuramente sorprendente e probabilmente da considerarsi leggermente ottimistico rispetto a quanto avviene nella realtà di tutti i giorni. In ogni caso, la riflessione emergente è che il valore della professionalità e delle competenze si pone sempre più come elemento discriminante nelle scelte delle imprese.
Entrando poi nel merito della documentazione e delle informazioni discusse con la banca per la richiesta di finanziamento dei progetti, emerge un quadro ancora legato a modelli ormai obsoleti. Quanto alla documentazione discussa, il peso dei business plan e dei prospetti previsionali è ancora limitato; in una scala di valutazione anche qui con 4 opzioni alternative (mai, qualche volta, spesso, sempre) solo il 16% del campione afferma che un business plan viene sempre discusso con la banca; viceversa, il 48% del campione afferma che i bilanci degli ultimi anni sono sempre oggetto di discussione con le banche.
Quanto alle tipologie di informazioni oggetto del confronto, prevalgono ancora aspetti di tipo contabile e il peso degli aspetti più strettamente qualitativi (strategia, governance ecc.) presenta spazi di crescita rilevanti. Ad esempio, sempre con la medesima scala di valutazione, solo il 20% del campione rileva che sono sempre discusse informazioni legate alla strategia d’impresa mentre un 41% sostiene che tali informazioni sono analizzate spesso; invece, appena un 11% afferma che sono sempre discusse informazioni relative alla governance e all’organizzazione interna e un altrettanto modesto 21% assegna la frequenza “spesso” a tali aspetti.
Quanto al rapporto tra imprese e private equity, possiamo affermare che emerge una sostanziale apertura delle imprese nei confronti di un canale di finanziamento, che, presumibilmente, potrebbe avere uno spazio rilevante nei prossimi anni.
Entrando più nel dettaglio, il private equity è considerato come uno strumento mediamente importante e da valutare con attenzione; sempre con la consueta scala di valutazione (per nulla importante, poco importante, importante, indispensabile) circa il 76% del campione lo considera come uno strumento importante per sostenere progetti di sviluppo ed espansione, mentre il 73% lo ritiene importante per supportare processi di aggregazione e fusione.
Più in generale, il campione rifiuta in modo molto netto una visione del private equity come apporto strettamente finanziario di breve periodo. Il 93% delle imprese considera l’apporto del private equity non solo finanziario, ma anche di tipo professionale e manageriale con un orizzonte di investimento di medio-lungo termine. Inoltre, le imprese del campione danno un significativo risalto a una serie di effetti legati agli interventi del private equity che vanno nella direzione di una crescente managerializzazione dell’impresa. Ad esempio, il 68% considera importanti gli effetti di una maggiore formalizzazione dell’organizzazione e circa l’85% ritiene importanti le conseguenze di un maggior rigore gestionale. Inoltre, appare interessante come un 62% ritenga importante l’effetto di una minore discrezionalità nell’utilizzo delle risorse interne dell’impresa.
In definitiva, se in base alle opinioni diffuse degli esperti ci sarebbero in questo momento, sia dal lato della domanda, che dal lato dell’offerta, concreti presupporti per uno sviluppo del mercato del private equity nell’area del nordest, la survey effettivamente rileva un’apertura e un interesse di massima rispetto a tale canale.
* Responsabile Area CUOA Finance