Cecilia Rossignoli *
Il termine “business intelligence” (BI) è impiegato da una ventina di anni sia in ambito della comunità scientifica sia in quello tipico del business con molteplici interpretazioni: rappresenta concetti e descrive metodi e processi, ma è al tempo stesso anche una particolare tipologia di Information Technology.
Un sistema di Business Intelligence veniva definito da Hans Peter Luhn all’interno di un Journal IBM nel 1958 come un sistema automatico capace di acquisire informazioni nel loro formato originale, di distribuirle in modo appropriato e di fornirle su richiesta. La parola “business” faceva riferimento a “un insieme di attività finalizzate a specifici contesti come la scienza, la tecnologia, il commercio, l’industria, per “intelligence system” si intendeva, in senso lato, “il mezzo di comunicazione a supporto della conduzione del business”. Il sistema aveva come obiettivo “la fornitura di informazioni utili a supportare le attività di individui, gruppi, dipartimenti, divisioni, tutti intesi come punti di azione. Dunque un sistema rivolto alla raccolta, acquisizione, memorizzazione e distribuzione di nuove informazioni ai punti di azione.
Solo in questi ultimi anni si assiste però ad una vera diffusione di sistemi di BI. Inoltre la rivoluzione apportata da Internet nelle imprese ha consentito la crescente pervasività di tecnologie sempre più sofisticate per supportare da un lato i processi decisionali, dall’altro i nuovi modelli di gestione manageriale.
Oltre alla Business Intelligence termini quali Knowledge Management, Big Data, Innovative Analytics indicano sistemi sempre più diffusi all’interno delle imprese. Grazie a sistemi di Knowledge Management è possibile concentrare in una unica piattaforma informativa i dati, le informazioni e le conoscenze presenti all’interno dell’impresa. Tutto ciò ha favorito la nascita di grandi basi dati, i datawarehouse, che consentono una lettura “intelligente” e profonda dei fenomeni che accadono nel mondo aziendale. Questi grandi “magazzini di dati” aprono la strada al fenomeno dei cosiddetti Big Data, ovvero alla presenza in azienda di database che presentano un tasso di accumulazione di dati così elevato da non permettere la stessa comprensione dei sistemi di misura che si utilizzano per indicarli (petabyte, exabyte).
A loro volta i Customer Intelligence Systems, i Social Intelligence, i sistemi di Sentiment Analysis rappresentano i cosiddetti Innovative Analytics il cui scopo è quello di facilitare la raccolta e la gestione di un nuovo ed evoluto insieme di metriche in grado aiutare gli executives nel processo di analisi e gestione delle performance.
Dal punto di vista della progettazione organizzativa l’adozione di tutti questi sistemi comporta un cambiamento radicale nella reingegnerizzazione dei processi aziendali e nella cultura organizzativa che deve recepire tali novità. L’impatto che questa situazione comporta è l’abbandono di prassi manageriali consolidate e l’introduzione di nuovi modelli organizzativi sicuramente più “piatti”, meno gerarchici, più decentrati, all’interno dei quali i manager dovranno essere in grado di interagire con queste tecnologie e sfruttarle, al fine di creare un vero differenziale competitivo.
In sintesi la vera sfida riguarda la capacità di analisi di tutti questi dati così come la possibilità di intervenire a livello di gestione del cambiamento organizzativo reso necessario dall’adozione di queste nuove tecnologie.
* Direttore scientifico Master in Business Intelligence and Knowledge Management