Paolo Bellamoli *
Internazionalizzazione! Nel quadro di generale incertezza che oggi quasi tutte le aziende avvertono come costante di fondo del loro operare, internazionalizzazione, assieme ad innovazione, è la parola d’ordine che mette tutti d’accordo. Sfida inevitabile, o unica opportunità di sviluppo, l’internazionalizzazione è un punto fermo nelle discussioni di imprenditori, esperti, giornalisti, politici e, naturalmente, formatori.
Non è sempre stato così. Per molti anni infatti l’internazionalizzazione è stata un concetto riservato a pochi grandi gruppi, o ancora associato alla semplice attività di commercio estero. Più recentemente si è aggiunto il fenomeno della delocalizzazione, ma oggi la complessità dei mercati e le interrelazioni tra tutte le catene del valore ci hanno proiettato in un contesto nuovo, ben più articolato e difficile da interpretare.
Cosa serve quindi all’imprenditore per orientarsi in questo nuovo contesto? Di fondo, sempre le stesse cose: idee semplici e competenze complesse. Esempio di idee semplici: “Guardo ai Paesi in cui si vendono più pannolini che pannoloni” mi diceva recentemente un imprenditore. Quella che sembra solo una battuta nasconde una grande verità sull’importanza dei fenomeni demografici. In circa un secolo, il pianeta è passato da 1,6 a 7 miliardi di persone: la differenza non è attribuibile all’Europa. Le competenze necessarie sembrano invece cose note: gestione aziendale, marketing, contrattualistica, logistica, pagamenti, dogane, fiscalità. È però un’apparenza che induce molti a una sostanziale sottovalutazione delle difficoltà. In realtà, non tutti sono pronti all’internazionalizzazione, che va invece preparata e affrontata con un reale investimento in termini di risorse, soprattutto umane, e di assetto organizzativo.
Ma quali sono le nuove competenze, che, in questa fase di così profonda trasformazione, devono essere al centro dell’attenzione delle aziende e del mondo della formazione? Una risposta tra le più interessanti la fornisce Sir. Richard Lambert nell’ultimo numero di Global Focus, magazine di EFMD. In primo luogo, la capacità di gestire la diversità. Il peso sempre più rilevante che hanno i nuovi mercati e l’articolazione del processo produttivo in contesti culturali sempre più differenziati richiedono che i nuovi manager siano in grado di operare in situazioni non familiari, guardando senza soggezione o superficialità, ma anzi con sincero interesse, alle diversità. Se si pone in modo generico la domanda di cosa significhi multiculturalità in azienda, la maggior parte delle persone è probabile che pensi innanzitutto alla manodopera extracomunitaria, alle comunità ghanesi nelle concerie di Arzignano, o ai Sikh impegnati in Emilia nella produzione del formaggio. Pochi invece pensano a manager o professionisti di varie nazionalità e culture, impegnati direttamente nella gestione di processi chiave nelle medie imprese italiane e in queste efficacemente integrati. Importante sarà poi la capacità di operare nell’incertezza. L’incertezza è qui, ed è qui per restare. Molto probabilmente, nei prossimi due decenni si assisterà a cicli economici più irregolari e frastagliati di quanto non si sia visto nei decenni scorsi e la capacità di valutare se elementi incerti siano da percepire come rischio o opportunità sarà chiave nel determinare il successo delle imprese. Altro elemento: la capacità di comprendere il ruolo e il funzionamento dei governi e delle amministrazioni pubbliche. Con la crisi, si è assistito in tutto il mondo ad interventi pubblici determinanti in vari campi e, per settori quali il finanziario e l’energetico, si parla di re-regulation. Emergerà, infine, una nuova comprensione dello scopo stesso del fare business e di farlo in contesti molto diversi. Dalla formula magica del soddisfare i bisogni dei consumatori si è passati al dettato della creazione di valore per l’azionista, ma sempre più si è assistito al prevalere di visioni di breve periodo, a una aumentata insicurezza del lavoro, a un incremento delle diseguaglianze e a un distacco dalle comunità di riferimento delle aziende.
Servono quindi nuovi manager e alle pocket multinationals italiane non basterà più aver fatto iniziative commerciali o industriali internazionali. Sarà invece per loro indispensabile imparare ad “essere” internazionali, attraverso risorse umane e talenti capaci di muoversi su uno scacchiere globale. Questi talenti internazionali non sono peraltro una risorsa già pronta e disponibile o trapiantabile da contesti lontani. Devono invece essere coltivati con nuovi percorsi di crescita e, in questo, le scuole di management italiane potranno svolgere un ruolo di grande importanza. Per farlo, dovranno trovare esse stesse nuovi percorsi di internazionalizzazione.
* Direttore operativo International MBA full time