a cura di Denis Pantini *
Nel 2013 l’export dei prodotti alimentari italiani ha toccato il suo massimo storico, arrivando a 27,4 miliardi di euro, una dinamica di crescita che nell’ultimo decennio ha praticamente portato al raddoppio dei valori delle vendite oltre frontiera. Si tratta di un risultato strategico, soprattutto alla luce della stagnazione dei consumi alimentari sul mercato nazionale, che perdura ormai da diversi anni, a causa di una recessione senza precedenti, e che ha visto diminuire la spesa alimentare (a valori costanti) di quasi il 10% dal 2007.
Un risultato importante, che purtroppo interessa ancora una percentuale residuale delle imprese: solamente il 12% di quelle alimentari, escluse le bevande, esporta. Tradotto in valori assoluti, significa che meno di 6.500 imprese su 54.000 è in grado di vendere fuori dall’Italia.
Piccole dimensioni (il 98,5% dell’industria alimentare è composto da imprese con meno di 50 addetti), ridotta capacità organizzativa e spesso capitale umano e finanziario insufficiente rappresentano alcune delle principali criticità, che minano alla base la propensione all’export delle nostre imprese e che spiegano il divario con i principali competitor: 21% contro il 27% della Francia o il 34% della Germania.
Il rischio è che questo divario, anziché diminuire, continui ad aumentare. Le opportunità di crescita si stanno materializzando in mercati sempre più lontani dall’Italia, dove lo sviluppo del benessere sta portando le popolazioni locali ad “occidentalizzare” le proprie diete alimentari, ricercando così quei prodotti del Made in Italy tanto apprezzati dai consumatori di tutto il mondo. Si stima che entro il 2020 il valore dei consumi alimentari in Cina raggiungerà i 4.000 miliardi di dollari, praticamente il quadruplo del livello attuale e il doppio di quelli europei. Ma portare i prodotti in Cina richiede sforzi non indifferenti, sia sul fronte delle dotazioni economiche e strutturali che del know how. A partire da una buona conoscenza del mercato e del relativo sistema distributivo, oltre che del quadro di norme che regola l’introduzione e il commercio di prodotti alimentari in questo grande Paese. Tutte cognizioni che spesso mancano alle nostre imprese e che forse fino a qualche anno fa potevano sembrare superflue (tanto c’era il mercato interno che acquistava le nostre produzioni), ma che già da oggi e ancor più in futuro diventerà fondamentale possedere, pena il rischio concreto di restare relegati a mercati di sbocco sempre più marginali e meno redditizi.
* Direttore Area Agricoltura e Industria alimentare, Nomisma S.p.A. Partner del corso CUOA in Management delle Aziende Agroalimentari