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Gestire la finanza post crisi: quali regole seguire?

A cura di Francesco Gatto*

Gli anni della crisi hanno visto indubbiamente crescere il ruolo della funzione Amministrazione, Controllo e Finanza all’interno delle aziende, anche se è bene precisare come le imprese “virtuose” abbiano sempre dato grande importanza al contributo di tale funzione nella pianificazione della strategia e nel supporto alla realizzazione dei piani aziendali.

Nella gestione dell’area finanza dell’impresa nell’attuale fase congiunturale (che comincia, sia pure con lentezza ed estrema prudenza, a vedere i primi segnali di ripresa), occorre sicuramente porre una maggiore attenzione ad alcune esigenze informative e gestionali: una maggiore capacità previsionale del fabbisogno finanziario, una maggiore razionalità nelle scelte di struttura finanziaria, una chiara visione dell’efficienza della gestione dell’azienda. Solo coordinando tutte e tre queste “leve, infatti, è possibile dire se sia tutto “sotto controllo” o meno e, quindi, poter veramente individuare talune scelte correttive qualora la situazione mostri sintomi di peggioramento.

Nel coordinare le leve appena citate, le imprese sono chiamate alla sfida di una maggiore razionalità finanziaria e gestionale, di una maggiore trasparenza informativa, di una maggiore visione strategica a medio termine.

Maggiore razionalità finanziaria vuol dire porre attenzione alle dinamiche finanziarie e di tesoreria, alle scelte di finanziamento, alla copertura dei rischi (rischi finanziari, operativi, reputazionali ecc.). Ma approfondiamo il tema della capacità di programmazione delle risorse finanziarie. La continuità di ciascun business è fondata sulla possibilità di remunerare in modo adeguato il capitale investito all’interno dell’impresa, che è costituito, come è ben noto, dalle risorse dell’imprenditore e dalle passività finanziarie riconducibili ai debiti verso gli istituti di credito; la realtà odierna impone di gestire le risorse di cassa in modo puntuale e preciso, focalizzando la riflessione sui processi attraverso i quali la liquidità viene generata e assorbita, cercando di individuare le soglie per il mantenimento in sicurezza dell’attività di impresa. Ad oggi, pur nella complessità e nell’incertezza dei processi di programmazione e previsione, è dunque fondamentale capire quale sia il debito realmente sostenibile dalla propria attività e come si possa configurare il mix ideale tra fonti finanziarie di breve e medio-lungo periodo e la capacità di rimborso dei propri impegni, in modo tale da prevedere con sufficiente anticipo possibili fasi di tensione che possano seriamente pregiudicare l’attività di impresa.

Maggiore razionalità gestionale implica un salto culturale nella visione e nel ruolo del sistema di pianificazione e controllo, che è quello di orientare i comportamenti verso il raggiungimento di obiettivi (in primis strategici). Le aziende devono essere consapevoli che i pilastri che sostengono un sistema di pianificazione e controllo sono rappresentati non solo dagli strumenti, ma anche dai processi e dagli attori coinvolti. Nei momenti di grande incertezza, le aziende si trovano costrette ad affrontare rapidi ripensamenti del proprio modello di business. Ormai molte aziende dispongono non solo di una quantità notevole di dati e di indicatori, ma anche di sistemi di controllo, che si sono stratificati nel tempo e spesso con aree di sovrapposizione e, talvolta, con modelli discordanti. Una priorità sta, quindi, nel selezionare, allineare e semplificare le diverse metriche con un modello efficace e diretto di Performance Management, coerente con il progetto strategico aziendale, attraverso un utilizzo mirato del patrimonio informativo aziendale a supporto delle scelte operative e strategiche.

Maggiore trasparenza vuol dire migliorare la capacita di informare periodicamente le banche e il mercato dei propri “numeri” di bilancio e dei propri “progetti” aziendali, sia quando l’andamento dell’azienda è soddisfacente, sia quando dovessero verificarsi situazioni di difficoltà. Per promuovere un percorso di trasparenza, occorre promuovere presso le imprese una maggiore cultura del business plan e della pianificazione finanziaria, nonché una maggiore cultura della patrimonializzazione, superando una visione di “famiglia ricca – impresa povera”. Ma, questo, vuol dire anche saper fare impresa, rinunciando a furbesche scorciatoie, nelle dinamiche della forza lavoro e nelle questioni fiscali, comprendendo che vi è un “dividendo” dato dal rispetto delle regole, in termini di risultati economici (redditività e accesso al credito migliore).

Maggiore visione strategica a medio termine, vuol dire avere chiara la strada da percorrere definendo precisamente strategie e business model coerenti con tali indirizzi, vuol dire ancora saper pianificare investimenti e mercati, saper costruire e presentare dei business plan veritieri e credibili. Ma, questo, vuol dire anche patrimonializzare l’azienda, anche aprendosi a forme di private equity, quale presupposto per una “sostenibilità” nel tempo del proprio business. Crescere infatti, presuppone una “rottura” del livello dimensionale attuale, tramite investimenti o tramite aggregazioni esterne (fusioni, acquisizioni, contratti di rete per filiera o per settore). Valutare tali percorsi, significa per le PMI affrontare un dilemma di fondo, acuito in questo periodo dalla maggiore selettività posta dal sistema bancario: è possibile pensare di poter finanziare la crescita solo con l’accesso al credito o anche, e in che misura, con il ricorso al capitale di rischio? L’opzione del private equity può rappresentare una risposta alla gestione di tale dilemma supportando e facilitando un percorso di crescita attraverso un apporto non solo di capitali, ma anche di competenze e professionalità necessarie per gestire la fase di discontinuità nella vita dell’impresa.

Maggiore visione strategica (anche attraverso percorsi di aggregazione e di apertura al private equity), maggiore trasparenza interna ed esterna (con un più efficace e tempestivo flusso informativo verso il sistema bancario), maggiore razionalità gestionale (con un focus specifico sulla capacità di analisi delle performance), maggiore razionalità finanziaria (con un’attenzione specifica alla capacità di elaborare piani finanziari attendibili) implica, inevitabilmente, un’esigenza di crescita dimensionale delle imprese, alla luce della stretta correlazione tra dimensioni, investimenti, crescita organizzativa e trasparenza informativa. Se poi pensiamo alle caratteristiche del tessuto delle imprese italiane (composto in nettissima prevalenza da PMI e micro-imprese), il tema della crescita dimensionale si rivela ancora più importante.

Gestire tutte queste sfide implica evidentemente un salto di qualità nella visione della funzione finance e nel ruolo del CFO. Oggi, più che mai, la funzione finance deve lavorare con il business per raggiungere obiettivi comuni e deve essere in grado di mettere in discussione i processi decisionali supportandoli nel modo adeguato; deve, quindi, ampliare il proprio ruolo consultivo e fornire un maggior valore aggiunto; i CFO, come gestori delle risorse finanziarie dell’azienda, sono responsabili di salvaguardare il valore degli investimenti e di ottimizzare la redditività aziendale; con una capacità di visione orizzontale, trasversale e interdisciplinare all’interno e all’esterno dell’azienda. Siamo, quindi, di fronte a un passaggio culturale e organizzativo di grande impatto, che chiama in causa non solo il CFO, ma anche il CEO e/o l’imprenditore, che dovranno favorire un processo evolutivo interno per l’affermazione del CFO come vero e proprio “business partner” a supporto delle scelte direzionali.

* Responsabile CUOA Finance e
Direttore Executive Master in Finance, CUOA Business School

1 Commento

  • caro francesco,

    come sempre il tuo contributo è preciso ed esauriente e veramente riassume ciò che un’azienda moderna deve richiedere alla propria funzione finanziaria.

    Nelle aziende più strutturate e di dimensioni più ampie tutto ciò è riscontrabile ed è certamente veicolato da tanti bravi CFO che, nella loro tensione al miglioramento, propongono sistemi innovativi per una gestione più puntuale e programmata.

    Nelle aziende più piccole, laddove la gestione finanziaria, se esiste, è portata avanti dal responsabile amministrativo, dallo stesso imprenditore o dal commercialista (aiuto!!!), non siamo, a mio giudizio, nemmeno all’inizio di questo percorso.

    Per molte di queste aziende il credit crunch ha portato alla ribalta la gestione della finanza come criticità a causa delle difficoltà insorte, ma non ha ancora modificato i comportamenti verso una tensione alla programmazione aziendale.

    Del resto non è che gli altri attori stiano aiutando l’azienda attraverso questo salto culturale:
    – i bancari, sempre più assorbiti dai loro problemi interni organizzativi e di contratto, mettono a nudo la loro inadeguatezza professionale: poco sanno di azienda, sapere interpretare un business plan è una skill molto rara. la gestione del rischio lascia molto a desiderare in quanto non è preventiva ma solo quando si è nell’imminenza del “sinistro”;
    – i commercialisti invece scontano la scarsa conoscenza dell’azienda in generale e della finanza in particolare: sono assorbiti dalle scadenze tributarie ed hanno gli occhi sempre rivolti al passato e raramente al futuro;
    – i consulenti sono una massa disomogenea dove, accanto a gente molto preparata, e frequentemente molto costosa, si trovano anche personaggi improvvisati che, praticando anche il porta a porta, si presentano come sirene promettendo risoluzioni miracolose.

    Quello che in generale manca è la visione finanziaria come un continuum che viene influenzato da comportamenti aziendali che spesso si replicano nel tempo e non possono essere modificati se non intervenendo sul commitment aziendale. Quando si riesce a chiudere un’operazione di ristrutturazione e stabilizzazione finanziaria occorrerebbe capire che si è davanti ad un punto di partenza e non ad un punto di arrivo. Se non si cambia nell’organizzazione e nei comportamenti, dopo un po’ di tempo i problemi si ripresenteranno. Se un’azienda ad esempio assorbe strutturalmente risorse finanziarie dovrà capire come ribaltare tale tendenza incidendo ad esempio sulla gestione del capitale circolante, rivedendo i margini, cercando di aumentare l’efficienza etc. etc.

    credo che ci sia ancora tantissimo da fare e la formazione (chi meglio di te lo sa!) potrebbe fare molto! il fatto è che gli attori di cui ho parlato troppo spesso non hanno l’umiltà di ascoltare ed imparare. e ci sono troppi ciarlatani e specialisti improvvisati che si aggirano eli illudono,

    Penso quindi che dobbiamo tutti spendere grande impegno verso la piccola impresa, perché strutturalmente più debole ed esposta ai “marosi finanziari”.

    ti saluto cordialmente