A cura di Andrea Furlan*
Lo sappiamo, lo abbiamo letto, scritto e detto tante volte, è logico: una trasformazione snella sostenibile nasce da una buona strategia. E una buona strategia consiste, innanzitutto, in una corretta definizione della value proposition: quale bisogno soddisfo, a quale prezzo e quali sono i miei clienti.
Letto con le lenti del “Lean Thinking” questo significa lavorare sul primo principio: definire il valore per cliente. Principio spesso dimenticato e non sufficientemente approfondito, neanche dai “guru” del Lean. L’espressione “valore per il cliente” è forse la più usata quando si parla di Lean. Ma sappiamo esattamente cosa vuol dire? Abbiamo riflettuto abbastanza su come definire il valore per il cliente? Definire il valore per il cliente è qualcosa alla quale tutti gli imprenditori delle nostre PMI riflettono sufficientemente? Ho qualche dubbio.
Scorrendo mentalmente la letteratura, mi vengono in mente due considerazioni. Primo, gli studi di Lean management dedicano solo poche pagine al primo principio. Sono invece molto più sviluppati gli altri quattro (mappare il flusso, flow, pull, miglioramento continuo) ciascuno dei quali è oggetto di interi libri.
Secondo, chi ha affrontato di petto il tema della definizione del valore per il cliente sono gli studiosi di sviluppo nuovi prodotti, che però si sono focalizzati soprattutto sulle tecniche operative.
La dimensione “strategica” del processo di definizione del valore per il cliente ci è invece sfuggita. I motivi possono essere molti. Forse la strategia è un tema sfuggente per molti “Lean Thinkers”, che al fondo è gente pragmatica e demanda i ragionamenti strategici ad altri. Ma questa è solo una scusa, non risolve il problema.
A mio avviso il tema della definizione del valore per il cliente deve invece essere messo al centro del dibattito e portato al suo giusto rango, quello strategico. È sulla definizione (o, molto spesso, riscoperta) del valore per il cliente che molte aziende basano il loro rilancio. Questa riscoperta consiste in una “virata” strategica, in un cambio di rotta che deve coinvolgere tutta l’azienda, partendo dal top.
Pensiamo al caso Lego. Nel 2014 Lego ha annunciato vendite e profitti record. L’azienda ha raggiunto 4,5 miliardi di dollari e 1,5 miliardi di profitto. Risultati radicalmente diversi rispetto a dieci anni prima. Alla fine degli anni ’90, il famoso produttore di giocattoli danese subì la sua prima perdita e negli anni seguenti la crisi continuò, bruciando cassa e fatturato a ritmi preoccupanti. La competizione di prodotti sostituti come le playstation avevano portato una rivoluzione nel settore. Ormai era il joystick più che il mattoncino a divertire e inspirare i bambini.
La risposta dell’azienda fu una forte diversificazione verso il software (LEGO Moviemaker), l’education (LEGO education), i libri, le riviste, i parchi tematici e altro. Questa diversificazione portò a un peggioramento economico-finanziario, ma soprattutto alla perdita di identità dell’azienda. L’azienda appariva smarrita, defocalizzata, non riusciva più a essere fonte di ispirazione e creatività per i bambini del nuovo millennio.
Bisognava riscoprire il valore per il cliente. Per farlo, il CEO Knudstorp si pose la domanda delle domande “Why do we exist?”. E la risposta fu ritornare alle origini dell’azienda, alla mission storica: “To inspire and develop the builders of tomorrow” (dal sito web Lego). Questa era, ed è, la vera ragione di esistenza dell’azienda. È questo che doveva, e deve, ispirare il management e i collaboratori. Se ci pensiamo è questo che convince, magari inconsciamente, i genitori ad acquistare una scatola di Lego ai propri figlioli. È questo, in ultima analisi, che conferisce a una scatola di Lego il suo vero valore.
Dare vita e corpo a questa mission, richiedeva una strategia precisa tesa a sviluppare la capacità unica di Lego di riprodurre scenari reali o fantastici, partendo dai suoi mattoncini modulari. Questa capacità doveva essere aggiornata e arricchita per allinearsi ai cambiamenti avvenuti nell’immaginario collettivo dei bambini. Facendo fede alla sua mission, Lego tornò al suo prodotto originario, focalizzando il suo business sul mattoncino e sui sistemi di costruzione. La focalizzazione, tuttavia, era solo una parte della strategia. Innanzitutto, l’azienda implementò una intensa attività di crowdsourcing, coinvolgendo i progettisti e fans che contribuirono a ripensare il prodotto Lego. In secondo luogo, Lego accompagnò la focalizzazione sul prodotto a una attenta attività di marketing per fare entrare nel mondo dei mattoncini gli eroi della Marvel, Harry Potter o le astronavi di Guerre Stellari. Si usò il mondo dei videogiochi e dei film per bambini per far tornare il mattoncino ad essere la fonte di ispirazione dei bambini, i costruttori del futuro. Infine, si lavorò sul retail e sulla logistica distributiva per fare avere al cliente il prodotto giusto, nel momento giusto, riducendo scorte e sprechi. Il risultato di tutto questo? Una crescita vertiginosa delle vendite e dei profitti, che sicuramente ha fatto la felicità di tutti, azionisti in primis.
Ma lo sviluppo della strategia deve essere trattato da chi si occupa di Lean? Certo. Se non si parte da una strategia ben pensata, formulata e comunicata non si potranno mai implementare programmi di miglioramento sostenibili nel tempo. E una strategia parte sempre da una mission, che spiega perché essa esiste, perché fa quello che fa. La risposta non è certo il profitto che deve essere solo un (ragionevole) risultato. Come scrive Simon Sinek, autore del bestseller “starting with why” e ideatore del famoso “golden circle”, le imprese normalmente si focalizzano sul cosa fanno. Faccio computer, auto, valvole idrauliche, batterie elettriche. Alcune sanno come lo fanno, come fare ad essere distintivi e unici rispetto ai concorrenti. Pochissime sanno perché fanno quello che fanno e lo sanno articolare in parole. È il perché la fonte di ispirazione delle persone e delle imprese. Il perché è ciò a cui l’organizzazione (il top, il management, tutti i collaboratori) credono. È il perché che spinge il cliente a scegliere la mia azienda tra migliaia di concorrenti.
Dopo aver chiarito il perché si deve passare al come e al cosa. E questo richiede la formulazione della strategia, un’attività che assorbe tempo e richiede il giusto mix di analisi e creatività. Il risultato della formulazione della strategia è un piano di azione che deve essere implementato. È solo in questa fase che incontriamo i primi strumenti “Lean” (vedi Hoshin Kanry). Peccato però che ci si è dimenticati tutto quello che viene prima.
L’auspicio? Che la comunità Lean torni a parlare di strategia e, soprattutto, cominci a farla, riconoscendo l’importanza del primo principio. Credo che questa sia una riflessione alla quale tutti, a cominciare dagli uomini di impresa, sono chiamati a contribuire.
* Referente scientifico CUOA Lean CLUB, Professore associato Università degli Studi di Padova
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Save the date: 25 e 26 settembre 2015