A cura di Fabrizio Albino Russo*
A volte, parlando di Supply Chain, mi capita di fare un’affermazione molto forte, vuoi per “scuotere gli animi” un po’ assopiti (o sarebbe meglio dire cristallizzati) dei miei interlocutori, abituati a ragionare secondo i propri schemi consolidati e tutt’altro che sbagliati, vuoi perché sono un convinto assertore del fatto che le migliori idee nascono proprio dal pensare fuori dagli schemi.
È così che mi ritrovo talvolta ad affermare e sostenere che la Supply Chain, di per sé, NON ESISTE.
Tralasciando le reazioni di stupore e quasi di incredulità che onestamente non smettono mai di divertirmi, vediamo di comprendere da dove scaturisce una simile affermazione, che non suona solo provocatoria, ma persino eretica.
Iniziamo, quindi, a dare il giusto peso alle parole, partendo proprio da quel “di per sé”, inserito nella frase tutt’altro che casualmente. Infatti quel “di per sé” sta a significare che la Supply Chain fine a se stessa non solo non dovrebbe esistere, ma non avrebbe alcuna ragione di esistere.
Questo perché, tralasciando tutte le definizioni formali e ufficiali di Supply Chain e semplificando fino ad arrivare al nocciolo della questione, la Supply Chain stessa nasce per far sì che al cliente finale, chiunque esso sia, possa essere consegnato o erogato il prodotto/servizio (quindi intendiamo il prodotto nel modo più allargato possibile) che desidera.
Prodotto/servizio che il cliente desidera al prezzo giusto (per lui), della qualità giusta (per lui), al momento giusto (per lui) e con tutte le altre possibili e immaginabili caratteristiche e prestazioni che lo soddisfano (quindi giuste per lui). Ovviamente, parte fondamentale da non dimenticare, il tutto deve essere sviluppato in modo remunerativo per l’azienda che produce e/o eroga il prodotto/servizio oggetto della transazione.
Ora, parlandoci molto onestamente, c’è qualcuno tra i lettori convinto che il cliente acquisti il prodotto/servizio in oggetto grazie alla meravigliosa, efficace ed efficiente impostazione della Supply Chain dell’azienda produttrice/erogante?
Francamente non penso……
Il cliente acquista ciò che gli offre o ritiene possa offrirgli il valore aggiunto desiderato, a prescindere dal fatto che si parli di un bene di prima necessità o di un bene di lusso, passando quindi dalla necessità di sopravvivenza alla necessità (se così si può dire) di “status”.
Dopo queste prime poche righe qualcuno potrà essere contrariato dal fatto che voleva leggere qualcosa “di Supply Chain”, mentre si trova a destreggiarsi in concetti “di Marketing”……ed è clamorosamente vero….e così deve essere…..perché, ripeto, la Supply Chain, di per sé, non esiste…… l’unica cosa che esiste veramente, e vale per l’azienda che produce/eroga il prodotto/servizio, così come per tutti gli enti ed i dipendenti dell’azienda stessa, nessuno escluso, è la “VALUE CHAIN”!
La Value Chain, o catena del valore che dir si voglia, la quale, tralasciando ancora una volta le definizioni formali e andando anche in questo caso al nocciolo della questione, rappresenta l’insieme di tutti gli elementi che, “messi in fila e interconnessi a vario titolo tra di loro”, sono in grado di fornire al cliente finale il valore aggiunto che richiede, di cui necessita e che, quindi, desidera, per mezzo del quale soddisfare i propri bisogni reali o creati ad arte tramite accorte campagne di marketing. Soddisfazione veicolata per l’appunto tramite opportuni prodotti/servizi.
Quanto sopra menzionato ha un profondo significato in quanto tutta l’azienda (e di conseguenza gli enti aziendali che la compongono) dovrebbe avere lo sguardo fisso sulla catena del valore, senza perderla mai di vista, bensì adeguando processi, procedure, strategie, tattiche e, quindi, prodotti e servizi, in modo da adattarsi ai suoi talvolta repentini e inaspettati cambiamenti.
Si pensi ad esempio al settore della moda, dell’auto, dell’elettronica o dei prodotti da forno, ognuno dei quali, ragionando a livello “macro”, con la propria specifica catena del valore da massimizzare e in cui, tra l’altro, le aziende devono sicuramente operare in modo da risultare attraenti per il cliente finale ma, ovviamente, cercando anche di massimizzare il proprio profitto e perseguendo la propria “vision” (…è un mondo complesso….).
Il fatto di doversi adattare al mercato apre sicuramente un insieme di tematiche estremamente interessanti, che per ragioni di tempo e spazio non è possibile trattare in questo breve articolo, ma è ormai assodato e generalmente accettato il fatto che, a livello aziendale (come del resto in natura), a sopravvivere non è il più forte, il più bello, il più veloce, il più piccolo, il più grande ecc., bensì il più adattabile e quindi, alla luce di ciò, che senso ha parlare di Supply Chain, ovvero di una “catena”, quindi di un qualcosa di rigido, quando questo dovrebbe essere lo strumento di eccellenza per agganciare ed erogare la dinamica di quel valore così importante e soggetto a così tanti repentini cambiamenti?
La questione appare quantomeno contraddittoria, ma ecco giunto il momento di fare chiarezza per trovare le risposte che cerchiamo.
Innanzitutto cominciamo a porci il problema da un punto di vista “temporale”.
Se si parla di catena del valore che muta, che deve essere mantenuta costante o che deve essere massimizzata, si sta parlando di un qualcosa di dinamico, ovvero di “proteso nel tempo”. Questo implica che gli attori che devono essere chiamati in causa per poter svolgere le funzioni utili alla catena del valore devono essere tra loro interconnessi e configurabili a seconda delle necessità.
Effettivamente, se tanto mi da tanto, si dovrebbe parlare di “Supply Network”, ovvero della dinamica di configurazione degli attori che, opportunamente “orchestrati”, devono essere in grado di erogare il valore aggiunto richiesto dal cliente finale.
Conseguentemente, se proprio di Supply Chain si vuole parlare, in senso stretto, ci si dovrà concentrare sulla specifica configurazione assunta dal supply network in un determinato momento, che chiameremo T. Stando così le cose la Supply Chain viene quindi a rappresentare una sorta di “fotografia” del supply network in quel determinato momento T. Ma assolutamente questo non significa che la supply chain al momento T1, successivo al momento T, sia o debba essere la medesima. In teoria, se essa non sarà mutata, è solo perché nulla è cambiato nella catena del valore, nel mercato di riferimento, né tantomeno nella capacità di soddisfare tale mercato. In pratica, gli operatori del settore (e non solo loro), sanno quanto questa ipotesi di “non cambiamento” si riveli azzardata ed irrealistica.
Eccoci quindi arrivati allo scopo della provocazione, enfatizzare il fatto che la Supply Chain va intesa in senso dinamico, ragionando in termini di network e di configurazione e conseguentemente di processo. Non ci si deve limitare a valutare chi fa cosa in un determinato momento T, ma ci si deve porre il problema di chi potrebbe fare la medesima cosa in un momento diverso T1 e di chi eventualmente potrebbe fare qualcosa di diverso in un momento T2, e così via. La Supply Chain diventa quindi una presa d’atto di una determinata configurazione del supply network, che non deve assolutamente essere cristallizzata, ma consolidata. Consolidamento che non può avvenire senza tenere presente gli sviluppi del mercato e della catena del valore e di conseguenza le varie necessità di adattamento in senso positivo (opportunità di business nuove e ulteriori) ed in senso negativo (rischi di “disruptions” e di contrazione del business).
Parte essenziale del processo di supply network management diventa quindi l’analisi dei rischi (supply chain risk analysis) e l’analisi dei vari scenari. Scenari il cui output dovrà sempre essere una risposta atta a mantenere inalterata la capacità almeno di garantire e quando possibile massimizzare la catena del valore necessaria a soddisfare il cliente finale. Queste considerazioni nascono dall’osservazione che molto spesso, invece, il consolidamento della Supply Chain passa attraverso complicati processi atti a “cristallizzare” la Supply Chain stessa, in quanto, avendo questa funzionato “meravigliosamente” bene al tempo T, si desidera che continui a funzionare “meravigliosamente” bene anche al tempo T1, T2 ecc., desiderio più che legittimo, del resto una così bella Supply Chain, che ha funzionato così bene, non la si può sprecare e poi dice il saggio: “cavallo che vince non si cambia.” Si crea così una sorta di micidiale autoreferenzialità e si viene a perdere di vista la priorità del supply chain management, ovvero soddisfare il cliente, garantendo, e ove possibile, massimizzando la catena del valore.
In estrema sintesi la Supply Chain è un mezzo, non lo scopo e, per essere sicuri di riuscire nei propri intenti, è fondamentale non dimenticare mai che ciò che rende forte la Supply Chain che risulta di successo in un determinato momento T, è la sua capacità di adattarsi, consolidando proprio la sua capacità di successo. Cosa che è possibile fare solo se alla base di tutto esiste un supply network pronto a fornire tutti gli elementi necessari a sostenere la variabilità di configurazione che il Supply Chain Manager dovrà comprendere, interpretare e utilizzare, per continuare a soddisfare i clienti del proprio mercato di riferimento, garantendo e auspicabilmente massimizzando la catena del valore sottesa.
Del resto, facendo un semplicissimo esempio, ipotizzando che un fornitore fornisca un componente strategico per la produzione di un determinato prodotto di interesse del proprio mercato di riferimento, cosa succederebbe se per qualunque ragione tale capacità di fornitura venisse interrotta? Se non sono state ricercate, create e preparate preventivamente alternative, la catena del valore crollerebbe drammaticamente. Viceversa, se si è lavorato con scrupolo e previdenza, si potrebbe essere stati in grado di creare alternative a livello di fornitori, ma anche di componenti e materiali, costruendo quindi un network che, al momento del bisogno, dovrà essere prontamente riconfigurato creando la Supply Chain necessaria a fronteggiare il mutato scenario. È quindi palese che, più alternative si hanno, ovvero più il network è ricco, più si sarà efficaci, efficienti e di successo nel garantire la continuità aziendale e, conseguentemente, garantire o ancor meglio massimizzare la catena del valore per continuare a soddisfare il cliente finale.
Alla luce di quanto provocatoriamente affermato finora possiamo chiudere queste riflessioni sostenendo che: “La Supply Chain di per sé non esiste senza un supply network in grado di alimentarla e sostenerla e di cui essa risulta essere l’emanazione necessaria a soddisfare la catena del valore richiesta dal mercato di riferimento, in un determinato momento”.
*Director Sourcing & Supply Chain,
docente corso executive Supply Chain management CUOA-Advance.