A cura di Andrea Furlan*
Ci siamo chiesti spesso come le (poche) imprese che hanno implementato con successo i programmi di trasformazione Lean abbiano fatto a cambiare così tanto. Non solo hanno cambiato i loro processi applicando le tecniche Lean, hanno stravolto i layout delle fabbriche e degli uffici, ritoccato le loro strutture organizzative, rivisto i ruoli all’interno degli organigrammi e, soprattutto, sono riusciti a cambiare i comportamenti delle persone.
Tante sono le risposte che conosciamo a questa domanda. Una chiara strategia e visione di lungo periodo, un forte commitment del top, investimenti in formazione, la pratica del miglioramento continuo, l’adozione di uno stile di leadership basato sul coaching ecc.
Dovremo però chiederci se queste imprese non abbiano in realtà sviluppato una capacità superiore nell’implementare i programmi di trasformazione organizzativa di qualsiasi natura essi siano.
Quando si parla di Lean Management, molte volte, si rimane rinchiusi da alcuni steccati ideologici. Il Lean non è una fede, non è una materia chiusa a network elitari e non è una materia avulsa dalla scienza dell’organizzazione. Lean indica un sistema di management caratterizzato da alcuni principi ispiratori: definire il valore per il cliente, mappare le attività a valore aggiunto, identificando gli sprechi, introdurre il flusso nei processi, sincronizzare la produzione con la domanda, adottare l’approccio scientifico al problem solving. Ma questi principi specifici del sistema di Lean Management non devono portarci a considerare “Lean” altra cosa rispetto alle buone pratiche sviluppate dalle organizzazioni che hanno affrontato profondi programmi di trasformazione anche non Lean. Non si devono per forza trovare soluzioni Lean per ogni cosa, per ogni problema.
I programmi di change management si reggono su pilastri trasversali rispetto ai contesti di applicazione e uno di questi pilastri è la capacità di implementazione degli stessi programmi di trasformazione. Chi ha guidato importanti processi di trasformazione organizzativa lo sa bene: le capacità di implementazione di tali processi conta e conta molto.
Nel dibattito sul Lean forse non si riflette abbastanza su questo tema. In effetti si è detto tanto sull’importanza della leadership nell’accompagnare o guidare il cambiamento, ma forse si è perso di vista il fatto che l’implementazione deve essere vista come una “capability organizzativa”, ossia una capacità che coinvolge tutta l’organizzazione e non solo pochi “lean change agents”.
In una ricerca pubblicata l’anno scorso su McKinesy Quarterly, Raphael Pustkoweski, Jesse Scott e Joseph Tosvic intervistano più di 2000 global executives sulle capacità organizzative di implementazione dei programmi di trasformazione di qualsiasi natura e sugli impatti che tali capacità hanno avuto sul successo delle loro organizzazioni. I “good implemeters” hanno una probabilità 4.7 volte più alta di portare a termine con successo i propri programmi di trasformazione rispetto ai “poor implementers”. Inoltre i “good implementers” riescono a ricavare circa il doppio del valore dai loro programmi di cambiamento rispetto ai “poor implementers”.
Ma quali sono le caratteristiche dei good implementers? Gli autori identificano sette core capabilities delle quali quattro sono particolarmente importanti.
Ownership and commitment
I leaders di queste organizzazioni dedicano tempo e energia al cambiamento, spesso liberando le proprie agende dagli impegni per guidare in prima persona il cambiamento e per inspirare tutta la struttura. Essi svolgono importanti ruoli di “role model”, adottando in prima persona i comportamenti che si vogliono ispirare. Troviamo diversi esempi di questa attitudine nella letteratura sulla Lean. Art Byrne nel libro Lean Turnaround stressa molto bene questo aspetto. Il CEO, dice, deve essere il primo esperto Lean dell’azienda. Non deve delegare il cambiamento, deve essere da esempio e deve “sporcarsi” le mani.
Prioritization and planning
Questa volta sono tutti i manager di linea ad essere coinvolti. Essi stabiliscono in modo chiaro le priorità dell’organizzazione. In questa fase la comunicazione è essenziale. Bisogna comunicare a tutti i livelli dell’organizzazione quali sono le azioni e i risultati più importanti da raggiungere per i clienti, gli azionisti e gli altri stakeholders dell’organizzazione. Nella pratica Lean abbiamo tanti esempi di questo tipo. In molti programmi di trasformazione snella, ad esempio, vengono applicati strumenti come l’analisi ABC di Pareto o la matrice importanza-impatto per dare priorità agli interventi e agli investimenti.
Accountability
Un sistema di controllo di gestione che definisca e monitori i key performance indicators è essenziale per implementare qualsiasi programma di trasformazione. Ovviamente questo comporta condurre regolarmente meeting con i team responsabili del cambiamento per discutere lo stato di avanzamento, individuare i problemi e analizzarne le cause radice. Brian Maskell, nel suo libro “Lean Accounting”, enfatizza questo aspetto mostrando come i giusti indicatori siano importantissimi per spingere l’intera organizzazione verso, usando le parole di Jeff Liker, il True North.
Infine, i “good implementers” credono fermamente che l’implementazione sia una disciplina che può essere migliorata nel tempo e investono in tale capacità. Essi hanno una più alta probabilità di avere a capo del processo di cambiamento un leader già esperto nei programmi di trasformazione. Nei programmi Lean lo abbiamo visto tante volte: quando un’impresa vuole seriamente imboccare la strada della trasformazione essa deve avere leader esperti e, se questi inizialmente non ci sono, si deve affidare a sensei esterni.
Per concludere due riflessioni. La prima più generale. Il termine Lean non deve ingabbiarci. Chi studia e applica il Lean ha tanto da beneficiare da innesti “esterni” di altre discipline del management science. Secondo, la capacità di implementazione è chiave per qualsiasi programma di trasformazione. Essa però non deve essere destinata ad alcune persone (ad es. i lean change agents) o relegata a singoli uffici (ad es. il Kaizen Promotion Office). Al contrario tale capacità si basa sul coinvolgimento di un gran numero di persone e sull’adozione di appropriati sistemi gestionali.
* Professore Associato di Economia e Gestione delle Imprese presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova dove insegna operations & supply chain management e strategic management. È vice direttore del ph.d. in Economics & Management dell’Università di Padova. È membro dell’Executive Board del Lean Center e Referente Scientifico del Lean CLUB di CUOA Business School. È stato visiting scholar presso M.I.T., Purdue University, e Norwegian Business School. Ha pubblicato estensivamente soprattutto su riviste internazionali sui temi legati la Lean management, alla modularità di prodotto e organizzativa e alle strategie di crescita.