di Martina Gianecchini*
Il tema dell’internazionalizzazione in ambito di gestione del personale non rientra sicuramente tra i trend “innovativi” quanto piuttosto tra gli evergreen di lungo corso. È infatti dalla prima metà del secolo scorso che le grandi corporations americane hanno cominciato ad espandere il loro business all’estero, affrontando – di conseguenza – il problema di come gestire una forza lavoro multiculturale e geograficamente distribuita. Così come il tema è “classico”, allo stesso tempo esso presenta caratteristiche sempre nuove per un insieme di motivi. Innanzitutto, se fino a pochi anni fa esso riguardava solamente le grandi aziende, la diffusione delle cosiddette “multinazionali tascabili” o di imprese “born global” (quindi con un forte orientamento verso l’estero fin dalla loro fondazione), suggerisce come per essere internazionali non serva necessariamente superare elevate soglie dimensionali. In secondo luogo, per effetto di cambiamenti nel costo dei fattori produttivi (ad esempio lavoro, energia, trasporti) e dell’incertezza relativa ai contesti istituzionali, la mappa dei Paesi nei quali è “conveniente” sviluppare il proprio mercato è in continua evoluzione: le analisi più recenti[1] mostrano ad esempio come il costo di un lavoratore cinese, in particolare nelle zone del Paese maggiormente sviluppate, sia ormai equivalente a un lavoratore americano o messicano. Infine, occuparsi di gestione delle risorse umane in chiave internazionale limitandosi ad analizzare le situazioni nelle quali le imprese sviluppano il proprio business all’estero sarebbe riduttivo, dal momento che anche organizzazioni completamente “italiane” nel loro mercato di sbocco e nella loro localizzazione si trovano spesso a gestire una forza lavoro composita e multiculturale.
Tutti questi aspetti suggeriscono che il tema dell’internazionalizzazione delle risorse umane non è strettamente limitato alle multinazionali e necessita di continua innovazione con riferimento alle soluzioni organizzative e gestionali da definire per gestire una forza lavoro in progressivo cambiamento. In particolare, le competenze necessarie alla Direzione Risorse Umane per affrontare in maniera efficace e consapevole il tema sono distinguibili in: competenze hard e competenze soft.
Con competenze hard si fa riferimento alla conoscenza e al possesso degli strumenti necessari a gestire il rapporto di lavoro di un collaboratore che vive e lavora all’estero. La gestione di un lavoratore expatriate, ad esempio, pone rilevanti problematiche relative alla composizione del pacchetto retributivo (e.g. definizione di benefit, indennità, adeguamenti fiscali). Nel caso in cui, invece, l’azienda decida di acquisire forza lavoro locale nel Paese estero in cui opera, emerge la necessità di conoscere, ad esempio, la legislazione sul lavoro, il sistema di relazioni industriali, le regole per l’assunzione e il licenziamento.
Con competenze soft si fa riferimento alla conoscenza dei modelli culturali che caratterizzano persone provenienti da Paesi differenti. Lo studio delle diversità culturali ha conosciuto un rilevante sviluppo principalmente nel corso degli anni ’70 e ’80. In questo periodo si sono sviluppati una serie modelli che, sulla base di ricerche strutturate, hanno proposto di “mappare” i Paesi in funzione di un insieme di dimensioni che rappresentano altrettanti “valori” e “atteggiamenti” che gli individui di quella nazione adottano nel prendere decisioni e fronteggiare problemi. Uno dei modelli più diffusi in questo ambito è quello proposto da Geert Hofstede[2] che si basa su sei dimensioni: distanza di potere, avversione all’incertezza, mascolinità, individualismo, orientamento al lungo termine, indulgenza. Questi aspetti permeano la vita personale e lavorativa delle persone, e possono avere conseguenze rilevanti nella gestione dei rapporti con i collaboratori: ad esempio, in Paesi a basso livello di individualismo (es. Cina, Corea del Sud, Singapore) l’adozione di forme di incentivo basate sulla valutazione individuale potrebbe non risultare efficace perché i lavoratori si identificano con il gruppo, a differenza di Paesi (es. Stati Uniti, Australia, Svezia) nei quali il successo del singolo e la competizione sono positivamente considerati nella società.
Tutte queste conoscenze, sia quelle hard sia quelle soft, possono essere acquisite sul campo attraverso processi, lunghi e spesso costosi, di prova ed errore, oppure possono essere acquisite attraverso percorsi formativi dedicati che permettano alla Direzione Risorse Umane di porsi nei confronti del business come un partner credibile e affidabile.
*Professore Associato di Gestione delle Risorse Umane all’Università di Padova e
referente scientifico dell’Executive Master in Human Resource Management di CUOA Business School.
[1] BCG, 2014, The shifting economics of global manufacturing, research report (https://www.bcgperspectives.com/content/articles/lean_manufacturing_globalization_shifting_economics_global_manufacturing/).
[2] https://www.geert-hofstede.com/