General Management Imprenditorialità e Governance Lean Management

Lavorare o Migliorare? Questo è il dilemma!

di Andrea Furlan*

I benefici dei programmi di miglioramento dei processi [kaizen, TQM, lean] sono stati documentati ampiamente. Molti studi mostrano come imprese che adottano seriamente questi programmi godono di un vantaggio competitivo duraturo rispetto ai concorrenti. Ormai non vi è più dibattito sulla loro utilità. Nonostante questo, la maggior parte dei programmi di miglioramento falliscono: molte imprese iniziano ma poi si fermano, regrediscono, cadono in quella che chiamo la “trappola del miglioramento”. Perché? La risposta non è semplice e dipende da complesse interazioni tra la struttura fisica dei processi, l’organizzazione e le routines dell’azienda, gli schemi mentali e i comportamenti dei manager e degli operatori.

Innanzitutto, quasi tutti i partecipanti ai programmi di miglioramento percepiscono un trade-off tra il lavoro “reale” e le attività di miglioramento: “il tempo che dedico a fare degli ‘esperimenti’ per ridurre i tempi di assemblaggio è tempo in cui non produco”. Il risultato è che gli operatori pressati per raggiungere i propri obiettivi di produzione accelerano i ritmi di lavoro tagliando il tempo da dedicare al miglioramento dei processi. Questo ha un effetto immediato e cioè quello di aumentare la produzione facendo raggiungere i propri target. Tutto bene? Assolutamente no. Si sceglie di lavorare di più (work harder) anziché di lavorare meglio (work smarter). Un eccesso di pressione sulla produttività senza curare il miglioramento porta nel tempo a un peggioramento dei processi che generano sempre più problemi che, di conseguenza, creano sempre più difetti nei prodotti (o nei servizi). L’aumento dei difetti riduce la produzione “buona” e quindi spinge le persone a lavorare ancora di più e ancora peggio. Si instaura un ciclo vizioso che porta al degrado costante della qualità dei processi.

Il ragionamento spesso è il seguente:

“Togliamo tempo alla manutenzione preventiva, in questo modo aumentiamo la produzione”.
“Sì ma la manutenzione preventiva che non fai oggi si traduce in maggiore difetti domani”.
“Vero, ma devo rispondere al mio capo: meglio un uovo oggi che una gallina domani!”.

Nel breve periodo è difficile contraddire questa logica anche se porta, nel medio periodo, a un peggioramento dei processi aziendali a cui si risponde con delle azioni che peggiorano ancora di più la situazione. In altre parole  ci si focalizza solo sul lavoro e mai sul miglioramento dei processi anche se si intuisce che non è la cosa migliore da fare.

E i manager dove sono in tutto questo? Mentre gli operatori spesso riportano di avere poco tempo per le attività di miglioramento e scelgono di lavorare di più (e peggio) anziché di lavorare meglio, i manager spesso attribuiscono il fallimento delle iniziative di miglioramento alla mancanza di disciplina dei lavoratori:

 “il [kaizen, TQM, lean] richiede una disciplina, una cultura che la maggior parte delle persone occidentali non hanno; noi italiano siamo creativi, facciamo fatica a essere ingabbiati in schemi, procedure, standard; i giapponesi hanno una cultura diversa… non so come mai ma tendono ad essere più disciplinati e rigorosi”.

Ho sentito molti manager fare affermazioni di questo tipo. In altre parole, il management ha la tendenza di dare la colpa alle persone anche se, molto spesso, i problemi riguardano l’organizzazione dei processi e il conteso di lavoro. Questo errore in letteratura viene chiamato “Attribution Error”: si da la colpa ai dipendenti, anziché ai processi, sbagliando completamente diagnosi. E incolpare le persone porta ad azioni che, ancora una volta, portano a lavorare di più anziché meglio. Infatti, i manager che incolpano le persone dei problemi di produttività o di qualità tenderanno ad aumentare le “penali” legate al non raggiungimento degli obiettivi, a rendere il controllo più pressante, ad adottare sofisticati i sistemi di monitoraggio (telecamere di sorveglianza, frequenti rapporti di produzione, maggiore pressione sulla velocità di produzione). Questo nel breve periodo aumenterà la produzione ma, ancora una volta, a scapito delle attività di miglioramento: gli operatori decideranno di lavorare di più sacrificando le attività di miglioramento dei processi. I manager osserveranno un aumento della produzione e ciò rafforzerà la loro iniziale credenza di avere lavoratori “pigri” che hanno bisogno di essere costantemente controllati e messi sotto pressione.

In altre parole si tende a “sbagliare” il bersaglio, a non identificare correttamente la causa di una scarsa performance (in termini di produzione o qualità). Si dà la colpa alle attitudini intrinseche dei lavoratori quando molto spesso dipende da come sono organizzati i processi. Questa dinamica porta le aziende ad essere intrappolate e i loro processi a subire un costante degrado.

Ma nel tempo le persone non dovrebbero riconoscere questa trappola? Nel tempo non si dovrebbe imparare ad adottare delle azioni correttive? Vari studi individuano almeno tre motivi che spiegano perché questo è difficile. Primo, il risultato dei processi (pezzi prodotti o servizi forniti) è visibile e facilmente identificabile mentre i problemi dei processi sono invisibili e difficilmente identificabili. Più facile, quindi, accorgersi di difetti o di una scarsa produzione che dei problemi nei processi che hanno prodotto quei difetti o quella scarsa produttività. Secondo, gli investimenti nelle attività di miglioramento portano a benefici ritardati nel tempo ma duraturi mentre le azioni volte a aumentare la quantità di lavoro portano a benefici immediati ma temporanei. Le persone, pressate dall’esigenza di aumentare la produzione, tenderanno a lavorare di più adesso (l’uovo oggi!) anche se sanno che stanno solo sopprimendo il sintomo senza curare la malattia. Terzo, correggere un difetto da un prodotto è facilmente misurabile mentre è difficile misurare il beneficio di eliminare problemi di processo ancora prima che questi problemi si traducano in difetti di prodotto. I manager spesso preferiscono investire per correggere i difetti (nel vano tentativo di recuperare dei costi che in realtà sono affondati) anziché investire per prevenire dei difetti che ancora non ci sono.

Vi sono diverse condizioni che possono ridurre l’attribution error e quindi aiutare a uscire dalla trappola del miglioramento. Primo, rendere visibili i problemi dei processi (visual management). Nell’ambito dello sviluppo di un nuovo prodotto, un ritardo nelle attività di sviluppo può essere dovuto al fatto che manca una libreria condivisa di soluzioni già adottate in precedenza. Questo porta gli ingegneri a dovere ogni volta sviluppare degli elementi che sono già stati sviluppati da altri prima. Normalmente, il problema visibile al management è solo il ritardo. Si dovrebbe invece rendere visibile anche la causa di quel ritardo che è molto spesso legata a un problema di processo e non a una scarsa disciplina delle persone. Secondo, impiegare più tempo a ricercare delle cause alternative. Michael Ballè nel suo “Lead with respect” pone molta attenzione al coinvolgimento di tutti attraverso il problem solving. La tendenza che abbiamo tutti di fronte a un problema è saltare alla soluzione:

“c’è una differenza tra il numero di container presenti a sistema e il numero di container fisicamente presenti a magazzino; perché? Colpa degli gli operatori che si dimenticano di scannerizzare i container quando escono dalla produzione”.

Se però andassimo più a fondo osservando quello che effettivamente succede potremmo accorgerci che magari è lo scanner che non funziona correttamente, oppure che lo scanner spesso non si trova oppure che c’è un problema nel software. Per capire quale è la causa di un problema dobbiamo sforzarci di individuare spiegazioni alternative e, attraverso l’osservazione empirica, individuare la “vera” causa del problema. Terzo, mettersi nei panni degli operatori. Anche questo è un importante aspetto del “Lead with respeact”. Usando le parole di Ballè: “Put yourself in their shoes, look through their eyes”. Difficilmente i manager si aspettano di essere nella posizione dei lavoratori. In altre parole, difficilmente si mettono nei loro panni e quindi non riescono a capire i problemi che incontrano nello svolgere il lavoro. “Go to the gemba, ask why, show respect!”: il mantra del vero lean manager. Infine, i manager dovrebbero essere responsabili non solo dei risultati ma anche del modo attraverso il quale li hanno raggiunto. Che risultato è ridurre costi e aumentare la produttività tagliando le attività di miglioramento? Non è un risultato ma solo una facile scorciatoia che pone le basi per il fallimento futuro.

C’è il modo quindi di uscire dalla trappola ma richiede conoscenza, coaching e tanta pratica. Di tutto questo parleremo al Lean day. Vi aspetto!

*Referente scientifico Lean CLUB CUOA

Tutte le informazioni sul programma del Lean Day 2016 su http://leandaycuoa.instapage.com/