di Diego Campagnolo*
La definizione di un piano strategico per l’internazionalizzazione è senza ombra di dubbio una delle scelte più complesse che il management di un’impresa si può trovare a gestire. Le ragioni sono varie e hanno a che vedere sia con le caratteristiche degli ambienti esterni all’impresa sia con le risorse interne all’impresa.
Sotto il profilo degli ambienti esterni, internazionalizzare significa in primo luogo entrare in contatto con contesti culturali e istituzionali diversi da quello domestico. Più sono, più diventa complesso analizzarne le specificità e l’evoluzione.
Internazionalizzare significa anche entrare in contatto con mercati in cui la concorrenza può essere diversa nell’intensità e nelle modalità con cui si realizza. L’impresa deve, quindi, essere pronta ad affrontare sfide competitive inusuali. Ancora, l’impresa si trova a gestire relazioni con un maggior numero di stakeholder e di conseguenza ha la necessità di ricombinare in una visione unitaria istanze che possono essere tra loro in conflitto. Se spostiamo l’attenzione sugli effetti di questo percorso sulle risorse interne dell’impresa, internazionalizzare pone decisioni complesse sotto il profilo delle scelte di configurazione della catena del valore (quali attività internazionalizzare?), sotto il profilo delle scelte organizzative (quanta autonomia concedere alle sedi estere?) e sotto il profilo dei meccanismi di integrazione tra le attività domestiche e quelle internazionalizzate (come assicurare che i flussi di conoscenze avvengano in modo bi-direzionale e non solo dalla casa madre alle sedi estere?). Inoltre, dal punto di vista delle risorse interne, l’impresa deve risolvere il classico trade-off tra standardizzazione globale e adattamento locale. In altre parole, promuovere soluzioni uniformi, ovvero efficienti, o piuttosto garantire soluzioni costruite sulle specifiche esigenze locali, ovvero con maggiore probabilità di essere efficaci?
Ne deriva, quindi, che l’internazionalizzazione è un processo che richiede preparazione e agilità. In un mondo in cui i vantaggi sono temporanei, in cui è richiesta la capacità di ricombinare velocemente le risorse dell’impresa e di sperimentare continuamente e contemporaneamente nuove possibili fonti di vantaggio, i processi di internazionalizzazione sono l’ambito nel quale queste sfide trovano la massima espressione. Basti pensare al momento storico che stiamo vivendo in termini di volatilità dei mercati e/o di riduzione dei differenziali di costo rispetto ad aree geografiche tradizionalmente considerate low cost. Il processo di internazionalizzazione è soggetto a una sempre più veloce obsolescenza e richiede un lavoro continuo di monitoraggio e adeguamento.
Chi nelle imprese si occupa di gestione delle risorse umane e di sviluppo organizzativo gioca un ruolo fondamentale nel processo di internazionalizzazione. Nella fase iniziale può contribuire a rispondere alle domande perché, dove, cosa e come internazionalizzare attraverso l’analisi delle competenze necessarie e di quelle già disponibili. Nel corso del tempo deve monitorare l’adeguatezza delle competenze disponibili rispetto all’evoluzione dei contesti competitivi e delle soluzioni organizzative progettate originariamente. Non meno importante è la sua attività nella gestione delle differenze culturali e nella diffusione della cultura organizzativa, che inevitabilmente si deve confrontare con le peculiarità delle diverse culture nazionali.
Si tratta di un ruolo troppo rilevante per non assicurarsi che sia esso stesso dotato delle competenze appropriate.
*Associato di Organizzazione Aziendale e Strategia Università degli Studi di Padova, Direttore Scientifico MBA Imprenditori, Faculty Executive Master in HR Management