di Diego Campagnolo*
È noto che la crescita attraverso alleanze è più veloce, ma potenzialmente anche più rischiosa per la sostenibilità dell’impresa. Far funzionare una joint venture è un esercizio complesso il cui risultato dipende solo in parte dalla pianificazione iniziale e molto dalle doti di leadership che le aziende coinvolte sanno esprimere e dalla capacità di adattamento rispetto all’evoluzione del contesto competitivo o delle strategie dei singoli partner.
Il racconto di Andrea Gabrielli (ospite di un Venerdì a Cena di MBA Imprenditori) è stata un’occasione – per alcuni versi unica – per comprendere come far funzionare una joint venture.Era il 1989 quando il Gruppo Gabrielli (allora una media impresa a carattere familiare) sigla una joint venture con Voestalpine (acciaieria multinazionale con sede a Linz, all’epoca di proprietà statale) per la creazione di Metalservice, azienda del Gruppo destinata a servire il mondo dell’automotive e dell’elettrodomestico, tutt’ora attiva dopo quasi trent’anni.
La teoria suggerisce che per la durabilità di una joint venture non solo è importante preservare nel tempo un comune obiettivo strategico che nessuna delle parti coinvolte potrebbe raggiungere autonomamente, ma è altrettanto fondamentale prevedere efficaci meccanismi di governance, e assicurare processi di apprendimento equi tra le parti coinvolte.
Sotto il profilo della proprietà, Metalservice è una joint venture non paritetica, che tuttavia mantiene l’equilibrio tra le parti nell’assetto di governance e la propria indipendenza nei processi decisionali, salvo la condivisione degli organi di staff con il Gruppo Gabrielli per assicurare maggiore efficienza e flessibilità.
Sotto il profilo dell’apprendimento, entrambe le imprese hanno saputo cogliere occasioni di crescita che vanno al di là del perimetro di competenza della joint venture. Per Gabrielli, il rapporto con Voestalpine ha contribuito ad accelerare un percorso di crescita manageriale dell’impresa Allo stesso tempo, Metalservice ha rappresentato per Voestalpine un primo passo di integrazione a valle verso il cliente, con un modello che ha replicato in altre parti d’Europa, oltre a essere un contesto in cui far crescere manager da impiegare successivamente nella casa madre.
La dimensione sociale dell’alleanza non è in secondo piano e il rapporto fiduciario tra i partner, che pre-esisteva rispetto alla stipula dell’accordo, si è andato rafforzando nel corso del tempo grazie ai risultati raggiunti, all’orientamento cooperativo mostrato da entrambe le aziende e alle doti relazionali dei manager che si sono susseguiti nella gestione della joint venture.
Gestire una joint venture è complesso. Ciascuna delle dimensioni coinvolte – strategica, organizzativa e relazionale – è indispensabile, ma non sufficiente se presa singolarmente.
*Associato di Organizzazione Aziendale e Strategia Università di Padova, Direttore Scientifico MBA Imprenditori, CUOA Business School