di Riccardo Bovetti*
“Se non cambiasse mai nulla, non ci sarebbero le farfalle.” (an.)
Dopo anni caratterizzati da un progressivo aumento dell’ambito di responsabilità, di una evoluzione del ruolo e, soprattutto, da profonde e in alcuni casi non indolori “cure dimagranti”, le funzioni finance (ed il CFO in primis) si trovano nell’ultima parte del primo ventennio del 2000 ad affrontare una nuova importante ondata di cambiamento: quella inerente alla trasformazione digitale che, per caratteristiche di velocità e profondità di impatto, parrebbe rappresentare una vera e propria disruption.
La disponibilità a costi e complessità oramai largamente accessibili di performanti tool digitali (informativi ed informatici) in grado di automatizzare processi ricorrenti, il proliferare di dati che richiedono la ricerca e la definizione di inusuali e, a volte, controintuitive connessioni e correlazioni statistiche per poter essere utilizzati come informazioni nel processo decisionale, il proliferare di atti regolatori e normativi, l’affacciarsi (cosa che per molte realtà aziendali italiane rappresenta una assoluta novità) di stakeholder esterni (fondi, banche, mercato etc) ingorde di informazioni e di dettagli sulla gestione aziendale (dal business agli aspetti finanziari) sono forze di cambiamento che rappresentano oramai una realtà quotidiana con la quale l’azienda (e in particolare la funzione finance) deve essere preparata a confrontarsi.
Le funzioni finance e i CFO che le guidano sono nello stato di necessità di cambiare nuovamente passo e di ridefinire prontamente e proattivamente il loro ruolo, organizzando in modo coerente la propria risposta a queste forze di cambiamento, pena la compromissione della loro capacità di essere un reale supporto al business e al CEO nel disegno di una strategia di crescita sostenibile per le aziende in cui operano, e l’abdicazione a un ruolo di guida dell’innovazione (almeno nei processi manageriali), che ha invece costituito storicamente una delle parti nobili del lavoro di quella famiglia professionale.
Una (limitata) prospettiva storica
Dopo aver fatto sempre la stessa cosa nello stesso modo per due anni, inizia a guardarla con attenzione. Dopo cinque anni, guardala con sospetto. E dopo dieci anni, gettala via e ricomincia di nuovo tutto.
(Alfred Edward Perlman)
Nel volgere di poco più di un decennio la funzione finance ha assistito (subito) ad una serie di importanti cambiamenti che l’hanno riguardata, per lo più, in prima persona e che sono stati la determinante dell’attuale assetto con il quale ci si prepara ad affrontare questa nuova “stagione” di cambiamento (evoluzione?).
Il leitmotiv dei primi anni duemila è stato il progressivo avvicinamento della funzione finance (e in particolare del CFO) al business, con l’assunzione (che nella maggior parte dei casi è rimasta incompiuta, nelle intenzioni o sulla carta) di un ruolo di Business Partner che avrebbe dovuto sempre meno focalizzarsi sulle attività routinarie o meramente amministrative (chiamiamole attività di compliance per differenziarle da quelle considerate a maggiore valore aggiunto che sono usualmente chiamate di performance) per focalizzarsi invece nel produrre informazioni, analisi e insight utili alla presa di decisione strategica.
È stato questo il periodo che ha costituito un (in alcuni casi dissennato) ricorso a forme più o meno spinto di outsourcing, che innestate su di un terreno di limitata standardizzazione di processi e di sistemi informatici hanno faticato a scaricare a terra i benefici previsti, contribuendo contestualmente ad aumentare il grado di complessità da gestire.
La spinta sembrava però inarrestabile e il progressivo espandersi dell’agenda dei CFO ha portato a concentrare sotto queste figure (talvolta di estrazione ed esperienza unicamente amministrativa e, in taluni casi, impreparate) una serie crescente di responsabilità (dall’HR all’IT, passando per servizi generali e acquisti), che disegnavano una figura ibrida con un ruolo quasi di Operative Officer delle funzioni non core.
Poi è arrivata la crisi: profonda, violenta, imprevista ed imprevedibile (sic!). E una delle prime funzioni chiamate a dare il un contributo in termini di efficienza è stata proprio quella del finance. Non così strano da comprendere: il finance è una delle funzioni manageriali (insieme all’IT) più abituata a lavorare per progetti e non (solo) per eventi, pertanto è evidente che il livello (la profondità) di riorganizzazione che ne sono conseguiti come risultato siano stati maggiori rispetto a quelli di altre aree aziendali.
Il finance che si riaffaccia alla luce della (limitata, potenziale, auspicata) nuova stagione di crescita (ma anche che si presenta al cospetto di questa nuova rivoluzione) è quindi una funzione:
- fortemente specializzata e verticale, ottimizzata, snella e dotata di strumenti massimamente efficienti, anche se spesso allineati alle mutate condizioni di business per via di massiccie personalizzazioni (sviluppate per lo più su strumenti di produttività personale) e “diversamente efficaci” nel rendere un servizio al business nell’indentificare opportunità di nuova crescita
- con una limitata propensione al cambiamento e una altrettanto limitata cultura digitale molto spesso arrotolata su se stessa nel cercare di risolvere circular reference in ciclopici fogli di lavoro, costruiti artigianalmente a surroga dei (richiesti ma non concessi) investimenti in standardizzazione di processi e sistemi.
Un bagno di realtà
Noi siamo ciò che fingiamo di essere, quindi dobbiamo essere attenti a ciò che fingiamo di essere. (Kurt Vonnegut)
Se c’è una dote che non manca ai CFO e in generale alla famiglia professionale finance è quella dell’autocritica. La situazione su descritta è nota e oggetto di quotidiana riflessione da parte dei professionisti della funzione, così come è percepita dagli stessi (e in particolare dai CFO) una intensa pressione generata dal sommarsi delle forze sopra descritte. Quando si intervistano i CFO e i Finance Leader delle aziende si ottiene, a prescindere dalla latitudine e dal settore aziendale, una unanime individuazione di elementi di pressione e di preoccupazione. Nel corso della nostra periodica survey condotta intervistando CFO e leader della funzione a livello globale sono emersi quattro principali fattori di preoccupazione e pressione (cfr. [1]). Questi quattro fattori di preoccupazione hanno un unico comune denominatore, la frustrazione nella mancata focalizzazione sulle priorità strategiche, conseguente:
- a una ridotta possibilità (capacità) di delega dovuta a una non adeguata copertura delle skill da parte delle persone del proprio team (questa direttamente discendente dalle pesanti riorganizzazioni di cui si parlava precedentemente)
- all’assorbimento di tempo in attività di compliance, controlli, reporting “istituzionale” verso gli stakeholder e di cost reduction
- a un incremento delle responsabilità operative e routinarie.
La velocità alla quale avvengono i cambiamenti uniti a questa (manifesta) impreparazione alla gestione del cambiamento possono facilmente tradursi in un fattore di rischio e complessità ulteriore al quale, nella disamina di alcune delle forze prima introdotte che sarà effettuata nei prossimi paragrafi, cercheremo di dare qualche elemento di mitigazione.
01001001010101001010100100101: ovvero la forza dirompente del digitale e della digitalizzazione
La trasformazione per tramite del digitale è oramai parte del nostro vissuto quotidiano e riguarda sia la digitalizzazione di servizi e di prodotti analogici (con la conseguente, o meglio contestuale, trasformazione del modello di business), sia la creazione di veri e propri modelli di business completamente nuovi, nativamente digitali e, nella maggior parte dei casi, impossibili da realizzare senza tecnologie abilitanti.
Questa trasformazione è da un lato una opportunità unica per le aziende che sono in grado di ripensare una parte (più o meno sostanziale, a seconda del settore e della tipologia di prodotto e servizio) del loro modello di business e della loro catena del valore in un ottica completamente nuova e che può tradursi in una fonte di ricavi e margini alternativi, aggiuntivi e/o sostitutivi. Per il CFO rappresenta al tempo stesso una sfida, perché all’evoluzione dei business model deve conseguire anche una evoluzione dei modelli di controllo e finanziari che permettono di pianificare e controllare il business e fornire supporto decisionale in termini di prezzi, margini e investimenti necessari.
La trasformazione di una parte della catena del valore in processi supportati dal digitale si traduce anche in un sostanziale abbattimento di certi costi operativi e il ricorso a tecnologie e a modelli di erogazione dei servizi in modalità differente (si pensi anche solo a tecnologie oramai affermate come il cloud od il SaS) ha un immediato riflesso sulla flessibilità e sulla scalabilità. Chiaramente questa apertura all’esterno presenta anche rischi (nella maggior parte dei casi nuovi) che vanno identificati, monitorati e gestiti creando una agenda comune con il CIO e superando quella atavica diffidenza che rende solitamente difficili i rapporti tra i manager delle due funzioni.
Quale ruolo si può prevedere per il Finance e il CFO in questa trasformazione digitale? Almeno due dimensioni (non necessariamente ortogonali) sono da prendere in considerazione:
- l’evoluzione e la trasformazione del business dell’azienda
- l’evoluzione e la trasformazione del modo di lavorare del finance all’interno dell’azienda.
Per quanto riguarda la trasformazione digitale del business dell’azienda il CFO e la funzione finance sono chiamati a ricoprire quel ruolo di “evangelisti interni” che spesso nel passato hanno giocato con risultati eccellenti in occasione di precedenti evoluzioni (in particolare in quelle aziende che hanno intrapreso un percorso di standardizzazione di alcuni processi quali quelli amministrativi per tramite di un ERP).
In particolare il finance deve esser in grado di comprendere il grado di maturità digitale dell’azienda in cui opera (e dei processi abilitanti il business) e le oggettive capacità dei propri peer di funzione di sviluppare una agenda digitale sostenibile e credibile. Questa comprensione è fondamentale per poter pilotare gli investimenti nella direzione del corretto sostegno alle politiche di trasformazione aziendale (facendo da contrappeso a certi voli pindarici che poi si risolvono con un rigetto da parte della società).
In aggiunta a questo deve preparare l’azienda nel percorso di trasformazione, anticipando i temi di interesse e di rilevanza che sono spesso non completamente sviluppati nei modelli di business digitali: le implicazioni legate agli aspetti fiscali, le tematiche di privacy o anche solo la localizzazione fisica dei dati e degli asset correlati ai dati.
*Partner, Financial Accounting Advisory Services, EY SPA
Consumer Product and Retail Middle Market Cluster Leader Italy
Growth Navigator ™ Platform Leader Italy, Spain and Portugal
Relatore FINANCE DAY – 22 giugno 2017
CUOA Business School