di Diego Campagnolo*
Nelle aziende la parola cambiamento evoca spesso un senso di frustrazione in chi è chiamato a governarlo e di paura in chi vi è coinvolto. Nelle situazioni più semplici il cambiamento implica la revisione di prassi consolidate o di procedure che per anni hanno “funzionato bene”. Nelle situazioni più complesse il cambiamento richiede variazioni a livello più profondo che investono il modo stesso di affrontare i problemi. È inevitabile quindi che le persone i cui ruoli siano messi in discussione dal cambiamento sviluppino un senso di resistenza. Perché dovremmo cambiare se si è sempre fatto così? È questa la domanda – legittima – che questi ruoli avanzano come prima reazione alla parola cambiamento.
Non è meno serena la situazione di chi il cambiamento lo deve guidare. E non solo perché deve affrontare le resistenze di cui sopra, ma perché deve in primo luogo definire la direzione del cambiamento. È facile dire che cambiare è fondamentale, molto meno dire verso dove e come. Chi si trova in questa condizione è spesso l’imprenditore, martellato in continuazione da dibattiti che sostengono la necessità di cambiare, pronti ad additare coloro che non lo hanno ancora fatto e a osannare quelle aziende che – merito loro – hanno saputo rinnovarsi. Molto minori sono le risposte rispetto a quale sia il cambiamento opportuno e a come metterlo in pratica. Non si tratta di una mancanza, più semplicemente la direzione del cambiamento è una scelta univoca per la quale difficilmente si possono ricavare ricette universali.
Il cambiamento di strategia o di modello di business sono cambiamenti usuali di questo periodo storico e non sfuggono alle considerazioni appena fatte. Nessuno, a priori, può indicare con certezza quale sarà una strategia di successo o quale il modello di business corretto per un’impresa. Ciò non significa che l’unica via per l’imprenditore resti l’intuizione di cui è proverbialmente dotato chi fa questo mestiere. I margini di approssimazione sono sempre più ridotti anche in un contesto competitivo che offre spazi di revisione ampi grazie a mercati più aperti, a innovazioni tecnologiche che fanno nascere nuovi settori o fondono i confini di quelli esistenti. Di conseguenza, per individuare la direzione del cambiamento è opportuno che l’intuizione sia supportata da analisi periodiche e consistenti su opportunità, minacce e risorse disponibili con l’obiettivo di anticipare i segnali del cambiamento. Difatti, il primo elemento per assicurarsi una maggiore probabilità di successo nel cambiamento è non aspettare di essere costretti a cambiare. Cambiare in quella situazione non solo rischia di essere troppo tardi ma con ogni probabilità genera situazioni di resistenza crescente.
Per individuare i segnali non è necessario inventare strumenti nuovi. Gli strumenti di analisi esistono, bisogna conoscerli e applicarli. La frequenza con cui applicarli? Dipenderà dalla velocità di cambiamento del contesto competitivo. Più questo cambia velocemente, più l’impresa dovrà aumentare la frequenza delle analisi.
Superato questo primo scoglio “resta” da guidare il cambiamento. Questa non è un’attività per tutti. Spesso si dice che non potrà guidare un’impresa verso una nuova strategia o un nuovo modello di business chi è stato protagonista del successo del modello precedente. Anche se questa considerazione non è vera a priori, è verosimile che i protagonisti di successi ormai passati tendano ad affrontare sfide nuove con logiche obsolete. Ecco perché è preferibile che a guidare il cambiamento sia un team con esperienze diverse, composto anche da chi non ha esperienza. L’inesperienza, di fronte a sfide inusuali, potrebbe rivelarsi una risorsa di valore. L’esperienza, all’opposto, può essere la prima fonte di resistenza al cambiamento.
Le imprese che hanno sviluppato la capacità di cogliere i segnali del cambiamento e di adeguare i propri modelli di conseguenza sono imprese che hanno internalizzato la capacità di cambiare. In altre parole hanno interiorizzato la cultura del cambiamento.
*Direttore Scientifico MBA Imprenditori, CUOA Business School
Professore Associato di Organizzazione Aziendale e Strategia d’Impresa, Università di Padova