di Diego Campagnolo*
In un contesto competitivo che richiede velocità di pianificazione ed esecuzione, la crescita attraverso operazioni di acquisizione e/o fusione (Merger and Acquisition, M&A), è una soluzione da non trascurare, anche per la piccola/media impresa. L’M&A può essere la via più veloce per recuperare economie di scala, entrare in un mercato estero, inserire una nuova tecnologia o, più semplicemente, per accedere a risorse che non si ha il tempo di sviluppare in modo autonomo.
Se tutto questo è vero in teoria, i numeri (vedasi le indagini periodiche di KPMG per esempio), ci dicono che queste operazioni sono spesso a esclusivo appannaggio di imprese di grandi dimensioni che hanno le risorse per mettere in atto costose campagne acquisti e (lunghi) piani di ristrutturazione. I risultati non sono peraltro sempre confortanti. Studi scientifici dimostrano che il vero affare lo fa, sicuramente, il venditore e non sempre il compratore. Il venditore riesce ad accaparrarsi – subito – un multiplo sul valore particolarmente soddisfacente che il compratore magari è costretto a pagare – per via dell’interferenza di altri acquirenti – o è disposto a pagare in vista di sinergie che, al momento dell’acquisto, sono però solo potenziali e future.
Basterebbero forse queste considerazioni per chiudere l’argomento e per consigliare a una piccola o media impresa di continuare in un più tranquillo percorso di crescita per linee interne. Sia ben inteso, si tratta di operazioni complesse sotto vari punti di vista, ma la piccola impresa potrebbe addirittura ottenere risultati migliori (delle grandi imprese) facendo leva su alcune sue peculiarità.
È evidente che le operazioni di M&A hanno alcune fasi tecniche che richiedono competenze specifiche per le quali è opportuno avere il supporto di professioni esterni. Mi riferisco per esempio al supporto di società di consulenza e di avvocati esperti nelle fasi di negoziazione e di due diligence. Tuttavia, seppure importanti, non sono queste le fasi principali da cui dipende il valore generato da un operazione di M&A. È la fase di integrazione delle due imprese a determinare il valore per l’acquirente.
È bene essere realisti, non ci sono ricette universali su come condurre un piano di integrazione. Si tratta di un piano specifico per la singola operazione come ben sa chi ne ha completate una lunga serie. Il rischio di errore è sempre dietro l’angolo. Non è difficile immaginarne il perché: integrare due imprese significa mettere insieme due storie imprenditoriali, due strutture organizzative, due modi diversi di lavorare, due culture organizzative. L’integrazione coinvolge il modo di pensare e di lavorare delle persone, pertanto possibili resistenze sono all’ordine del giorno.
Ci sono però due indicazioni che hanno carattere generale e che, tornado al punto, possono rappresentare un elemento distintivo per la piccola impresa.
La prima indicazione è pensare all’integrazione fin dal momento in cui si definisce una rosa di possibili imprese target. Questo non significa che l’integrazione debba essere portata a termine il prima possibile, bensì significa incorporare le considerazioni sull’integrazione nel processo decisionale che porta alla scelta dell’impresa target, avendo cura di evidenziarne opportunità e ostacoli.
La seconda indicazione riguarda il ruolo della leadership. Il vero successo di un’operazione di M&A dipende dalla capacità di immaginare e guidare un percorso di integrazione che porta alla creazione di una organizzazione realmente nuova, che fa leva sulle organizzazioni precedenti ma che, per certi versi, se ne discosta allo stesso tempo. È fondamentale immaginare e ottenere consenso attorno a una visione nuova e chiara del perché l’operazione è utile per entrambe le imprese coinvolte. Questo è possibile solo se si definiscono i traguardi che la nuova impresa potrà raggiungere grazie all’integrazione e che senza l’operazione non sarebbero raggiungibili per nessuna delle due imprese. A mio parere questo è l’atteggiamento che dovrebbe essere alla base di un’operazione di M&A senza distinzione alcuna tra merge (fusione), dove può sembrare ovvio, e acquisition (acquisizione), dove la natura stessa dell’operazione potrebbe favorire la “logica del conquistatore” da parte dell’impresa acquirente.
Rispetto a queste indicazioni, le piccole imprese potrebbero essere paradossalmente avvantaggiate. La ridotta dimensione, e quindi le minore disponibilità di risorse (finanziare e non solo), induce riflessioni spesso molto più approfondite che ben si conciliano con l’esigenza di non sottovalutare la fase di integrazione e con la capacità di fermare un’operazione, anche se già in stato avanzato di negoziazione con la controparte. Inoltre, la piccola/media impresa ha normalmente un orientamento strategico al lungo termine che, nelle operazioni di M&A, gioca un ruolo fondamentale per immaginare la vision della nuova impresa.
Tutto facile quindi per la piccola impresa? No, resta a volte da lavorare sulle premesse decisionali, in particolar modo laddove i successi del passato facciano pensare che sia ancora il tempo dei solisti.
*Direttore Scientifico MBA Imprenditori, CUOA Business School, Professore Associato di Organizzazione Aziendale e Strategia d’Impresa, Università di Padova