di Federico Rossi – Sintesi Comunicazione*
Storicamente non sempre il binomio innovazione-sostenibilità è stato interpretato come positivo. Per molti anni la visione “estrema” dell’eco-compatibilità ha messo al centro un percorso quasi di regressione degli stili di vita. I prodotti dovevano essere tendenzialmente basso-performanti, dal design frugale e realizzati con materiali di recupero. Si giocava sul senso di colpa del singolo che diventava causa, con i suoi comportamenti, del cattivo stato di salute del pianeta. Qualsiasi concessione alla tecnologia era letta come una minaccia. In questo contesto l’innovazione era vista necessariamente come un nemico. Più in generale il progresso era letto come un elemento nocivo per le risorse ambientali e per l’equilibrio del pianeta.
Fortunatamente negli ultimi anni questa visione quasi fideistica della sostenibilità è stata sostituita da una visione più pragmatica e realistica che mette al centro non solo un nuovo stile di consumo (attento, consapevole ma non “monastico”) ma anche un nuovo paradigma produttivo – e più in generale di fare impresa – che deve necessariamente bilanciare il rispetto del pianeta con l’offerta di prodotti sempre più performanti e in grado di migliorare lo stile di vita dell’uomo.
Se alla base di tutto, quindi, c’è una revisione del modo di fare impresa questa – soprattutto nel caso della sostenibilità ambientale – passa necessariamente dalla revisione dei processi e dei prodotti.
La realizzazione di prodotti di alta qualità, altamente performanti, affidabili e al contempo “rispettosi dell’ambiente” nasce quindi da una fase di ricerca e sviluppo estremamente specializzata e focalizzata. Ma l’innovazione deve andare oltre la specifica incrementale finalizzata a un miglioramento dell’impatto dei processi (che oltre a migliorare la sostenibilità aziendale genera anche significativi savings operativi).
La sfida è quella dell’economia circolare.
Qui la capacità di immaginare e dare concretezza a nuovi scenari, nuove tecnologie e nuovi prodotti si traguarda su un orizzonte temporale e spaziale (inteso come confini aziendali) molto più ampio. Il binomio impatto-performance non deve essere più limitato al normale ciclo di vita del prodotto ma deve essere pensato fin dall’origine in una perpetuazione del ciclo stesso che passa dal riuso e dal riciclo a fine vita.
Lo studio della recuperabilità dei materiali o della possibilità di disassemblare il prodotto diventano centrali e costituiscono una sfida importante per chi è chiamato a fare innovazione.
Una sfida che allarga i confini dell’azienda in quanto la circolarità deve essere pensata in ottica transaziendale e transettoriale (ad esempio il recupero dei materiali del mio prodotto a fine vita può dare origine a una materia prima seconda per aziende di altri settori).
Il cambio di prospettiva è profondo.
L’azienda non si muove più solo in modo reattivo in risposta a una necessità di compliance normativa ma si spinge in modo proattivo verso un’innovazione radicale che porta a sviluppare prodotti in grado di ripensare profondamente il modello produzione-delivery-consumo.
Si aprono le porte, così, al passaggio più profondo: quello che conduce all’innovazione del modello di business.
L’azienda viene completamente ripensata non solo da un punto di vista tecnico e tecnologico ma anche dal punto di vista delle dinamiche sociali.
Le dinamiche dello smart working, della open innovation, della open leadership rappresentano la punta di un iceberg in continua evoluzione.
Le relazioni azienda-stakeholders vengono completamente rimodulate arrivando fino al ripensamento del modello di costruzione e distribuzione del valore che diventa benessere condiviso.
Dove ci porterà questo tipo di innovazione è difficile dirlo. Potremmo addirittura arrivare a immaginare una fine delle imprese storicamente intese. In questo nuovo contesto le aziende diventano delle entità liquide di fatto senza confini e senza la classica strutturazione dei modelli proprietari e manageriali.
*Partner operativo del progetto Economia Circolare