Finanza d'Impresa

MIFID 2, il traghetto dall’asset allocation alla pianificazione patrimoniale

di Andrea Rocco*

Con il 3 gennaio 2018 la direttiva 2014/65/UE, meglio nota come MIFID 2, è entrata in vigore anche in Italia. In queste settimane stanno trovando recepimento i decreti attuativi e le indicazioni da parte dei Regolatori, da ultimo quello di CONSOB, al fine di delineare e chiarire una serie di misure che andranno ad impattare (rivoluzionare?) il mondo della consulenza finanziaria.

Non è intenzione di chi scrive dilungarsi sugli aspetti meramente tecnici e normativi che i meandri della MIFID 2 nascondono, sui quali permangono punti opachi che si tradurranno in mesi di confronti dottrinali e daranno vita a diverse linee interpretative. Ciò che rileva è, piuttosto, ragionare su quali cambiamenti genera questo intervento del legislatore sul ruolo del consulente finanziario e sul rapporto che va ad instaurarsi con la platea di investitori. Il nocciolo della questione è questo: chi non comprende in quale direzione si muoverà il mercato della consulenza finanziaria è destinato a soffrire o, peggio, soccombere di fronte a scenari nuovi ed inesplorati.

Come noto, le parole chiave attorno alle quali si snodano le misure previste dalla Legge sono sostanzialmente due: trasparenza e tutela dell’investitore.

I presidi funzionali al raggiungimento di tali obiettivi sono di due tipi, se proviamo ad osservarli con gli occhi del beneficiario ultimo della normativa, l’investitore.
Da un lato ci sono interventi che possono apparire meno immediati, impattanti, diretti. Misure che il cliente faticherà a percepire come elementi di rottura rispetto al passato, benché siano assolutamente propedeutici a costruire un terreno di maggiore qualità e protezione per chi investe. Si pensi in tal senso agli interventi normativi che parlano di nuove sedi di negoziazione, product governance e proliferazione degli oneri di compliance, strutture organizzative interne per la validazione e il monitoraggio delle competenze di chi eroga il servizio di consulenza, e via discorrendo.
Dall’altro lato, invece, il legislatore ha innestato misure di novità assoluta che avranno impatto immediato in capo al cliente sulla percezione del valore della consulenza: stiamo parlando, naturalmente, del capitolo riguardante l’esplicitazione di costi e oneri del servizio e dei prodotti collocati.
È su questo aspetto che il mondo della consulenza finanziaria deve operare una riflessione profonda, attenta e lungimirante, pena il rischio (o, piuttosto, la certezza) di essere misurati in termini di valore come mera differenza tra performance ottenuta e costi sostenuti.
Si tratta invece di identificare metodi e mezzi in grado di trasmettere all’interlocutore la trasformazione del ruolo del consulente il quale, oggi, continua ad essere percepito come colui che suggerisce come e dove investire la ricchezza finanziaria delle persone.
In realtà non è così.
O meglio, non è più e non è solo così: l’attività di asset allocation rimarrà certamente un momento ineliminabile dell’assistenza al cliente, ma non è l’unico né il primo aspetto di cui si occupa un consulente finanziario; da parte di quest’ultimo, fare “all-in” sulla capacità di costruire portafogli efficienti e remunerativi, in altri termini, rischia di essere una visione miope e destinata a fallire, per tre ordini di motivi:

  • le performance sono generate in primo luogo dai mercati, non dai consulenti. Avere la pretesa, la presunzione, l’overconfidence di essere in grado di battere e anticipare i benchmark in maniera sistematica e strutturale è, semplicemente, altamente improbabile (potremmo dire impossibile, alla luce di innumerevoli evidenze empiriche)
  • impostare tutto su questo significa orientare il cliente a misurare la bravura del consulente solo sui risultati raggiunti. Come si gestiscono, dunque, le inevitabili fasi di rallentamento/recessione economica che accompagnano ogni bear market e generano sofferenza emotiva, oltre che finanziaria, da parte dell’investitore?
  • se anche ci fosse reale capacità di generare yield con sistematicità, si pensi a quali diventano i competitors con i quali confrontarsi: robo-advisors e algoritmi preimpostati fanno già parte del presente dell’asset allocation, e per chi ha sufficienti livelli di autonomia e intende avvalersene producono un notevole risparmio a livello di costi, aspetto che il consulente finanziario non può ignorare.

Dunque, che fare?

In primis, serve prendere consapevolezza che c’è molto altro nel ruolo che MIFID 2 disegna intorno al consulente finanziario: il metro su cui misurare la qualità e il valore del servizio deve cambiare unità di misura, allargare gli orizzonti. Il rendimento rimarrà una variabile sensibile, sempre, ma è determinante orientare il focus su come proteggere il patrimonio, prima di incrementarlo. Tra poco entriamo nel merito di questa decisiva questione.

In seconda battuta, occorre sensibilizzare la platea di interlocutori su questo tema. La missione non è semplice né immediata, ma è inevitabile agire su piani diversi e guidare l’investitore su ragionamenti che non si limitino a quantificare la remunerazione in basis points, ma che stimolino quell’approccio alla pianificazione finanziaria e patrimoniale che rappresenta l’unica via per impostare il raggiungimento dei bisogni di vita che ciascun individuo intende conseguire.

Il driver che guida la consulenza, dunque, è il bisogno. La ricerca e la condivisione delle esigenze, coniugate al processo di implementazione propedeutico alla loro soddisfazione, diventano il mezzo per distinguere la consulenza di valore, sartoriale, ragionata.
Per mettere a terra il concetto e renderlo potabile al cliente, serviamoci della “piramide della pianificazione”. Come noto, la piramide è dotata di una base larga, su cui si fonda la sua solidità. Se non viene correttamente e attentamente progettata, la costruzione non regge. Oggi molti investitori pensano che alla base della piramide finanziaria ci sia l’abilità a generare rendimento; ciò che invece consente di reggere in piedi il processo di pianificazione non è l’asset allocation, ma la protezione.
In altri termini, capire dove investire i risparmi dovrebbe essere subordinato a capire come difendersi da quegli eventi che possono mettere davvero in pericolo la solidità patrimoniale di una famiglia. Le coperture assicurative, rispondenti alle esigenze peculiari di ogni persona e necessarie a proteggere ciò che di più caro ognuno ha, rappresentano il primo passaggio su cui soffermarsi.
In secondo luogo, c’è un altro aspetto di pianificazione che andrebbe affrontato in via preliminare rispetto all’asset allocation: riguarda i temi di Welfare State che fino ad oggi sono rimasti confinati, ma che sono destinati ad assumere un ruolo centrale in tema di pianificazione finanziaria, alla luce delle progressive restrizioni operate dal settore pubblico in tema di previdenza, sanità, assistenza, istruzione e via dicendo. La consulenza finanziaria di valore ha la missione di presentare e di risolvere questi temi: le risorse finanziarie che le famiglie accantonavano in passato per molteplici funzioni (imprevisti, liquidità per spese in fase di vecchiaia, istruzione dei figli, ecc.) non sono più sufficienti perché il mondo nel quale viviamo è cambiato (e di conseguenza i bisogni).

I temi su cui continuare a ragionare sono molti: potremmo avanzare l’importanza di costruirsi competenze e affiancare il cliente sulle questioni del passaggio generazionale, dell’ottimizzazione fiscale, del mercato immobiliare, degli investimenti alternativi e così via.
Il punto decisivo rimane uno, in conclusione: è indispensabile alzare l’asticella, eccellere in qualcosa, individuare un ambito di consulenza (ce ne sono molti, come abbiamo visto) su cui affinarsi e diventare riferimento per i clienti. Lo scenario che si apre con MIFID 2 è certamente nuovo e, come tutti i cambiamenti, alimenta dubbi e timori da un lato, opportunità e crescita dall’altro; il contesto va progressivamente sempre di più verso una standardizzazione di processi e di prodotti, pertanto è l’insieme di skills – ed il modo di metterle a disposizione del cliente – che faranno la differenza nella percezione del valore.
Serve, in altri termini, distinguersi. Completare quel passaggio da esperti di asset allocation a consulenti finanziari, meglio ancora patrimoniali, in grado dunque di fornire risposte trasversali all’evoluzione delle esigenze degli individui.

Essere una “mucca viola”, come suggeriva Seth Godin: è così che si diventa, agli occhi del cliente, indispensabile.

 

*Faculty CUOA Finance