di Jacopo Pertile*
Stiamo affrontando un periodo storico elettrizzante e probabilmente senza precedenti da moltissimi punti di vista. Grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie, stiamo vivendo un processo di cambiamento che sta impattando tutti i livelli – all’interno e all’esterno – delle organizzazioni: dal contesto in cui queste si collocano, alle persone che le abitano, ai valori che le guidano fino, ovviamente, agli approcci di lavoro e ai modelli di business.
Partiamo da un dato legato al contesto in cui sono collocate le organizzazioni: il 65%(1) dei bambini che oggi frequentano la scuola elementare avrà un futuro impiego lavorativo che oggi non esiste ancora. È un dato di profonda rottura con il passato ma che è già in atto. Cinque anni fa non si parlava d’altro che di digital marketing specialist, SEO specialist, Content Specialist. Quei lavori oggi chiaramente esistono ancora, ma sono sempre più gestiti da software intelligenti. La maggior parte degli annunci che troviamo sui siti di ricerca di personale, oggi riguardano figure come il “Data Scientist”, il “Chief Digital Officer” o lo “UX Expert”, ruoli e mansioni che fino a qualche anno fa non esistevano o erano poco considerate.
Per quanto concerne le persone riflettiamo su come per la prima volta nella storia in sempre più aziende co-abitino addirittura 4 diverse generazioni: i baby boomers (1946-1964); la generazione X (1965-1981); i millenials (1982-2000) e la generazione Z (nati dopo il 2000). Generazioni che hanno un approccio alla vita, ai problemi e di conseguenza al lavoro completamente diverso e che devono coesistere e creare reciprocamente valore, valorizzando i punti di forza di ognuno e minimizzandone le debolezze.
Consideriamo poi i valori su cui le aziende devono costruire il loro presente e futuro. A detta di molti, i pilastri da cui partire sono quattro: “client centricity”, “trasparency”, “anywhere and anytime” e la “speed”.
Le organizzazioni devono considerare il cliente prima di tutto come una persona e poi costruirci attorno servizi/prodotti che generino per questo valore. Si sono diffusi sempre di più strumenti per guidare le aziende verso questo valore che purtroppo, molte volte, viene messo in secondo piano.
La trasparenza, grazie ai social e ai mille nuovi canali di comunicazione che sono nati, ha eliminato il distacco tra le corporate e i clienti. Tutto deve essere pubblico, facilmente consultabile, “open”. E pensare di mandare una raccomandata per interrompere un servizio non è più ammissibile in un contesto in cui basta un clic per interrompere l’abbonamento a provider di ascolto di musica ad esempio.
Oggi poi è necessario considerare la omnicanalità come un dato di fatto: le persone devono essere per esempio in grado di fruire dei mondiali di calcio non solo dalla tv alle 20.00 di sera durante il match, ma dal pc, dal tablet, dal cellulare, non solo in real time, ma in qualsiasi momento e con qualsiasi modalità queste desiderino.
Infine la velocità: redigere business plan a 5 anni o definire budget chiusi a settembre e validi per un anno intero vale sempre meno. È fondamentale invece avere la capacità di cogliere i cambiamenti in atto e trasformarli in opportunità che un mondo connesso come quello in cui viviamo mette a disposizione.
Infine le metriche, valore fondamentale su cui ogni azienda deve e può prendere decisioni. Il “secondo me” o “a mio parere” è sempre meno valido come paradigma di partenza. Semmai la nuova prospettiva prevede che “dai dati si evince che xxx, per cui potremmo pensare di xxx”. Solo così si può sviluppare una società data driven.
Ovviamente i punti sopra descritti hanno un impatto sia sull’approccio di lavoro all’interno delle organizzazioni che sui modelli di business. Le aziende data driven utilizzano approcci come l’agile, il design thinking, gli sprint per rispondere alla velocità di cambiamento richiesto e alla ricerca continua di innovazione (interna ma soprattutto esterna). Tecnologie come la blockchain, la VR, il machine learning ecc, stanno radicalmente cambiando il modo in cui le aziende possono generare valore (passaggio da prodotto o servizio a quello di servitization) e con cui sono in grado di gestire i processi soprattutto quelli industriali (industry 4.0).
Partendo da queste premesse, è necessario quindi che le organizzazioni, i manager, gli stakeholders che le circondano le conoscano e le capiscano per non trovarsi impreparati e scoprire che il prossimo competitor non viene dall’azienda del distretto, che per 50 anni ha svolto egregiamente il proprio business, ma invece da quella che era nata 20 anni fa vendendo libri online e che ora si è trasformata anche nella più grande banca al mondo.
*Docente corso executive Design thinking e Industry 4.0, Digital Consultant AzzurroDigitale – Strategy & Ventures
Bibliografia
(1)Fonte: Report World Economic Forum_http://reports.weforum.org/future-of-jobs-2016/chapter-1-the-future-of-jobs-and-skills/