di Francesca Pedrazza Gorlero*
La Cina è cresciuta di 17.000 ettari vitati nel biennio 2015-2016 ed entro il 2019 conquisterà inevitabilmente la leadership, superando gli oltre 975.000 ettari della Spagna.
Un primo posto destinato a non essere recuperato, mai più. Solo il 12% di queste superfici è dedicato all’uva da vino, ma basteranno pochi anni perché la produzione vitivinicola cinese arrivi a eguagliare quella dei suoi competitors europei: Spagna, Francia e Italia.
L’Italia arriverà a perdere anche il primato produttivo, che detiene con più di 50 milioni di ettolitri, eppure sappiamo che ci sono record che al Bel Paese non si possono sottrarre, perché in nessun luogo, come nella nostra penisola, convivono tradizione enogastronomica, arte, paesaggio e storia.
Quindi su cosa puntare perché gli straordinari vini italiani conquistino e mantengano l’unico primato che vale davvero: il dominio dei mercati?
Una delle risposte è semplice, quasi banale: l’ospitalità.
I dati e le ricerche raccontano che solo un terzo del valore del vino è il prodotto della vinificazione, il resto è composto da molti fattori, il più interessante è ciò che una bottiglia può raccontare di sé: del terroir, del vitigno da cui nasce, delle tecniche, dell’azienda che lo produce e della sua storia.
In Francia sta tornando la moda di proporre vinificazioni esclusive, dedicate, acquistabili solo per chi decide di visitare i luoghi di produzione. È una strategia di marketing antica, un tempo inevitabile, che sta dimostrando la sua efficacia e che affianca altrettanto opportuni piani di e-commerce.
Perché il futuro è nell’innovazione della tradizione.
I dati ci dicono anche che la vendita in enoteca è diminuita a favore di GDO e acquisti diretti in cantina, due diverse facce della stessa medaglia che indicano da un lato come il vino sia un bene di consumo ricercato, desiderato e in continua crescita, dall’altro che la curiosità e il desiderio di conoscenza del fascinoso universo del vino sono strumenti di cui avvalersi per promuovere e creare nuovi mercati.
In Italia la varietà dei paesaggi, dei terroir e delle tecniche di vinificazione offre all’enoturista la possibilità di vivere esperienze profondamente diverse a distanza di pochi chilometri. Cantine e Wine Resort sono in grado di sorprendere e superare le aspettative di appassionati, amatori ed esperti, o, almeno, lo sarebbero, perché spesso si confonde l’ospitalità con la semplice apertura delle porte di una cantina per la vendita diretta o la costruzione di un albergo vicino a dei vigneti.
La wine hospitality ha le sue regole ed è sulla loro conoscenza che si basano tutte le potenzialità di un mercato che nel nostro Paese vale già quasi 3 miliardi di euro, ma che vede attrezzate solamente il 5% delle Cantine.
La visita in Cantina in Italia è un’esperienza unica ed emozionante per il visitatore? Le persone che vi lavorano sono formate per saper rispondere a domande di neofiti e di esperti? Le cantine sono pronte all’arrivo dell’enoturista, che non è un semplice consumatore/compratore? Sembra non sia così, almeno non in tutte le cantine che desiderano aprirsi all’ospitalità e al turismo.
I primi ad accorgersi delle loro mancanze sono proprio i proprietari e i manager delle Cantine.
“Abbiamo intervistato una vasta gamma di professionisti del settore vitivinicolo – ci spiega Cristina Mascanzoni Kaiser, esperta e “pioniera” della Wine Hospitality in Italia e docente dell’Executive Master in Wine Business del CUOA – chiedendo loro quali fossero le competenze mancanti e come la formazione possa aiutare. Ne abbiamo ricavato indicatori molto utili all’orientamento di progetti formativi, di cui si sente fortemente il bisogno”.
Alcune evidenze emerse:
- serve maggiore conoscenza delle lingue e delle caratteristiche proprie degli stranieri, una formazione in marketing culturale
- un training sommelier ti permette di conoscere il prodotto finale, e come valutarlo e portarlo avanti, ma certamente non dà una formazione dinamica per un approccio vivace per il cliente
- una formazione nell’ospitalità del vino deve offrire accoglienza, ospitalità, marketing, esperienza del cliente, abbinamento enogastronomico e storia del vino
- attualmente le formazioni sono divise in diverse categorie: Programmi di enologia/Accademie di vino – Ospitalità e programmi turistici – Programmi di gestione enogastronomica.
In sostanza i corsi di formazione di Wine Hospitality attuali non rispondono alle esigenze del business, almeno fino ad oggi, perché è a partire da un’attenta analisi delle esigenze degli operatori, del target e del mercato che ha preso forma la specializzazione in “Ospitalità del vino” del Master in Wine Business del CUOA.
C’è bisogno di professionisti dell’ospitalità – Wine Hospitality Manager – in grado di portare le cantine a livello di “destinazione turistica”, di rendere il vino “più buono” vestendolo di un’esperienza indimenticabile per l’enoturista. Se alla qualità si aggiunge il valore di un ricordo, di un’emozione, di un paesaggio, il primato non può non essere italiano e nessuno potrà più portarcelo via.
*Team di Progetto Executive Master in Wine Business