di Francesco Gatto*
A distanza di poco più di dieci anni dal primo grande schock della finanza con il fallimento di Lehman Brothers (all’epoca uno dei colossi mondiali dell’investiment banking) nel settembre 2008, è sicuramente utile effettuare un esercizio di riflessione e analisi su quanto accaduto nel mondo della finanza in questi dieci anni. Ed è bene sviluppare una riflessione oggettiva e lucida cercando di non farsi condizionare da reazione emotive o valutazioni frettolose.
Una prima riflessione è data dall’accortezza di non confondere il concetto o il significato della finanza con l’utilizzo che in diversi casi è stato effettuato dello strumento finanziario. Si tratta di una distinzione basilare in quanto molte problematiche sono nate da un utilizzo distorto dello strumento finanziario e non dallo strumento in sé per sé. Riflettiamo, come esempio, sui famigerati strumenti derivati che, pur con una loro indubbia complessità tecnica, sono nati per esigenze di protezione e di copertura, come lo sono le necessità delle imprese operanti sui mercati internazionali che devono gestire un rischio tasso o un rischio cambio. Se poi abbiamo assistito spesso ad un utilizzo fraudolento dello strumento (lato intermediari finanziari con politiche commerciali in diversi casi aggressive e azzardate, lato alcuni clienti realmente consapevoli attratti da potenziali guadagni speculativi), siamo di fronte ad una grave distorsione dei comportamenti (che andrebbero evidentemente sanzionati nelle forme e nelle misure opportune). Se poi pensiamo alle crisi e ai defaut bancari, il tema dei comportamenti (in termini di scelte strategiche e scelte operative aziendali, di violazione di regole, ecc…) assume connotazioni ancora più gravi, accanto alle falle nel sistema dei controlli.
Un’ulteriore riflessione riguarda la regolamentazione dei mercati finanziari. Sicuramente il sistema bancario e finanziario nel momento dello scoppio della crisi presentava gravi lacune ed in questo decennio abbiamo assistito ad una proliferazione di normative e regolamentazioni a livello europeo che hanno comunque contribuito a stabilizzare il sistema (pur tra luci e ombre).
Normative, ad esempio, come quelle di Basilea (che ha rivoluzionato le tecniche e i modelli di valutazione del rischio di credito) o della MIFID (che ha rivoluzionato i processi della consulenza finanziaria), hanno avuto un impatto forte sul sistema bancario e finanziario e dell’economia reale con effettivi positivi e anche negativi. La massiccia regolamentazione che è stata prodotta ha cercato di mettere in sicurezza il sistema finanziario soprattutto dal punto di vista della tenuta patrimoniale e della liquidità ma non sempre, purtroppo, ha generato i comportamenti auspicati Soffermandoci sul tema del rischio di credito è indubbio che l’attuale regolamentazione abbia spinto le banche verso una valutazione rigorosa e ferrea del rischio di credito con una selezione tra imprese meritevoli e imprese rischiose che incontreranno sempre più difficoltà nell’accesso al credito. Questo cambio di paradigma si è scontrato con un gap di cultura finanziaria, soprattutto nelle PMI, e con una difficoltà di comunicazione e trasparenza tra banche e imprese (da entrambe le parti), con conseguenze purtroppo ben note in tema di restrizione del credito. È bene anche osservare come le tensioni finanziarie di questi anni abbiano spinto le imprese a capire l’importanza della propria funzione finance in termini di verifica della propria capacità di cassa e della sostenibilità finanziaria delle scelte di business e degli investimenti programmati.
In questo senso la cultura finanziaria, del controllo di gestione, della pianificazione a medio termine (business plan per intenderci) è cresciuta sensibilmente in questi anni nelle imprese e la figura del CFO è ormai una figura manageriale centrale che affianca l’imprenditore nell’orientare le scelte strategiche e che ha una competenza e un presidio trasversale sulle attività amministrative, finanziarie e del controllo di gestione. Prima dello scoppio della crisi, ante 2008, la parola (e tanto meno il concetto) di CFO era semisconosciuta nelle PMI che avevano a che fare in molti casi con una figura di direttore amministrativo (con un focus prevalentemente contabile) piuttosto che con una figura di CFO in ottica manageriale come lo intendiamo oggi.
Se parliamo tuttavia di gap di cultura finanziaria abbiamo in realtà a che fare con un fenomeno estremamente diffuso di “alfabetizzazione finanziaria” e che coinvolge non sole le imprese ma anche (e in misura rilevante) risparmiatori e investitori. Senza voler nel modo più assoluto negare le pesanti responsabilità del management, le crisi bancarie di questi ultimissimi anni hanno anche evidenziato un forte gap di educazione finanziaria nei diversi attori dell’economia e della società. Tutto questo ha anche contributo a rendere ancora più teso il rapporto tra risparmiatori e istituti bancari in un clima di ostilità e sospetto ben diverso dal rapporto di fiducia e sicurezza di un tempo.
Ad oggi, a dispetto degli accadimenti di questi anni e dell’acceso dibattito che ne è scaturito, la finanza assume ancora di più un ruolo fondamentale nella gestione delle imprese. È una finanza però profondamente diversa dalla finanza di 10 o 15 anni fa. È una finanza che richiede una solida cultura manageriale con competenze allargate e in continua evoluzione, rigore, etica professionale, rispetto delle regole e consapevolezza della ratio delle norme. È un percorso sfidante e motivante in cui irrompe la trasformazione tecnologica e digitale che pone alla finanza nuove opportunità e traguardi. Una finanza vissuta con questo approccio è in grado di generare un grande valore per le imprese e l’economia reale e rappresenta una leva decisiva per la crescita e la sostenibilità nel lungo termine delle aziende.
*CUOA Business School, Responsabile UB Finance e Progetti Custom