di Diego Campagnolo*
Trasformazione digitale e internazionalizzazione possono rappresentare elementi complementari. Diego Campagnolo (direttore scientifico MBA Imprenditori CUOA Business School) discute come possono evolvere le scelte di internazionalizzazione grazie alla trasformazione digitale, in vista dell’Open Lesson “Strategie di internazionalizzazione a misura di PMI: esportare sì, ma come?”, che avrà come ospite Massimo Greggio (Amministratore Delegato di USI Italia e Alumnus MBA Imprenditori 11).
Qualche tempo fa, durante una intervista per una ricerca sulle strategie di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, un imprenditore ha esordito alle mie domande in questo modo “Non succede più come un tempo!”. Incuriosito dall’enfasi con cui l’imprenditore aveva risposto alla mia domanda, provai a capire meglio cosa intendesse. Cosa voleva dire che non succedeva più come un tempo? Alla mia richiesta, l’imprenditore continuò il suo racconto più o meno con queste parole: “andavamo a qualche fiera, raccoglievamo contatti e spesso ordini. Pensi che ne raccoglievamo così tanti che a volte eravamo pure costretti a mettere un cartello fuori dall’azienda perché la nostra capacità produttiva era satura fino alla fiera successiva! Non potevamo accogliere nuovi ordini. Ecco, questo era il nostro modo di internazionalizzare di un tempo, ma oggi non funziona più!”.
Questo breve racconto è emblematico del significato e delle modalità che spesso hanno accompagnato il modo di internazionalizzare di tante piccole e medie imprese. Forse ci dovremmo chiedere se questa fosse vera internazionalizzazione, ma non è questo il contesto nel quale approfondire il significato della parola né tanto meno quello in cui esprimere dei giudizi. Questa “modalitàdi internazionalizzazione” funzionava, punto e basta.
Il punto, semmai, è un altro. Ha ragione l’imprenditore quando sostiene che non succede più così. Lui stesso ha dovuto fare i conti con mercati internazionali nuovi ma volatili in cui l’incertezza ha reso inadeguate modalità di presidio indirette e scarsamente strutturate. La presenza di importatori o distributori per anni ha rappresentato un volano per favorire l’esportazione (non l’internazionalizzazione!) di prodotti in mercati diversi da quello domestico garantendo un flusso di ordini dall’estero verso l’Italia a cui corrispondeva un flusso inverso di prodotti dall’Italia verso l’estero. Spesso e volentieri tali attori non hanno consentito (e non consentono) di apprezzare le specificità e i trend che caratterizzano i mercati esteri.
L’esportazione, specie se indiretta, favorisce l’allargamento, anche rapido, dei confini, ma diventa un limite se non alimenta, o addirittura previene, un flusso inverso di conoscenze sui mercati esteri. Si tratta di un passaggio fondamentale e non scontato per molte imprese che vedono nella possibilità di diversificare i mercati di destinazione un dato sufficiente per garantire la sostenibilità delle proprie scelte.
Nel contesto competitivo attuale appaiono maggiormente adeguate forme dirette di presidio dei mercati esteri attraverso filiali (o al limite accordi con partner locali). Più costose, ma che offrono la possibilità di raccogliere, elaborare e sfruttare informazioni “di prima mano” sul mercato potenziale e attuale dell’impresa. È evidente che queste forme di internazionalizzazione richiedono un commitment (ovvero risorse) più elevate e sono spesso precluse ad imprese di piccola e media dimensione, almeno fin tanto che l’impresa non diventa grande a sufficienza per poter sostenere (non solo economicamente) tali forme di presidio.
Quest’ultima considerazione tuttavia è parziale. La trasformazione digitale di prodotti e processi sembra aprire nuove opportunità con effetti diretti (e indiretti) sulle scelte di internazionalizzazione. In altri termini, grazie a un collegamento diretto con i mercati esteri permesso da strategie di marketing digitale e/o prodotti “intelligenti”, l’impresa ha modo di raccogliere dati sia prima di provare a entrare in un mercato estero – per ridurre il grado di incertezza delle proprie scelte – sia dopo aver esportato i prodotti – per alimentare un bagaglio di conoscenze su come i prodotti vengono utilizzati ed eventualmente promuovere processi di innovazione.
La trasformazione digitale sembra, dunque, aprire nuovi spazi per conciliare i vantaggi dell’esportazione e della presenza diretta senza incorrere nei costi che queste modalità, diverse, comportano.
Ne discuteremo il prossimo 23 marzo, all’interno della Open lesson di MBA Imprenditori, con Massime Greggio, AD di USI Italia e Alumnus MBA Imprenditori 11.
*Direttore scientifico MBA Imprenditori CUOA Business School