di Andrea Rocco*
Gli ultimi anni hanno visto susseguirsi una serie di novità nel mondo della consulenza finanziaria: dal recepimento della MIFID Review alla rivoluzione del sistema bancario tradizionale, dalla (tardiva) nascita dell’Albo Unico all’avvento della robo-advisory, sono tanti gli spunti di riflessione che invitano ad un ripensamento di una professione – il Consulente Finanziario – che appare essere allo stesso tempo di scarso appeal per i giovani (come rivelano recenti indagini) e pieno di interrogativi per i senior advisors.
In particolare, le nuove disposizioni del legislatore relative alla trasparenza sui costi del servizio rappresentano il punto centrale di maggiore preoccupazione.
Siamo fortemente convinti che, per superare brillantemente questo timore trasformandolo in un’opportunità senza precedenti, ci sia un unico modo: essere consapevoli del valore creato, apportato al cliente. Essere consapevoli della differenza che passa tra avere e non avere al proprio fianco un consulente finanziario bravo.
Questo passaggio è semplicemente determinante: tra l’essere affiancati da un professionista capace ed i risultati di un fiero “self-made” c’è tutta la differenza del mondo.
Certo, per poter comprendere appieno questo gap è indispensabile, come prima cosa, che il consulente finanziario alzi la propria asticella e comprende l’assoluta importanza di ampliare con costanza, profondità e passione le proprie competenze. Quest’ultime non possono ormai più essere confinate alla mera attività di asset allocation diversificata ed efficiente, che rimane un passaggio imprescindibile ma gravemente parziale nel palesare il valore che un bravo professionista può trasferire al proprio cliente.
Invero, le competenze devono allargarsi a tanti altri aspetti che finora sono stati parecchio trascurati nel rapporto tra investitori ed intermediari e che, invece, rappresentano la principale risorsa in grado di generare benessere per le persone. Il rendimento dei mercati finanziari (da noi ribattezzato “Rendimento 1”) è sicuramente importante, ma non può e non deve essere percepito come l’unica fonte di valore che un professionista della finanza può aiutare a conseguire.
Le massime attenzioni vanno riposte nel “Rendimento 2”.
Un rendimento con connotati opposti rispetto a quanto generato dai mercati: non più aleatorio, atteso ed incerto. Il “Rendimento 2” è sicuro, financo garantito, a patto che ci siano due ingredienti: un bravo consulente finanziario ed un cliente pronto a cambiare approccio, in cui la prima domanda alla quale trovare risposta è “Di che cosa non posso assolutamente fare a meno?”.
Un professionista, a prescindere dall’ambito in cui operi, deve comportarsi come tale, operando con massima attenzione per il dettaglio e indicando al cliente la direzione giusta da prendere.
Ad esempio, partendo dallo stimolare questa prima riflessione: a cosa serve conseguire buone performance finanziarie, se poi non ho pensato a proteggere ciò per me è più importante?
Qual è l’utilità di un “buon tasso”, se poi un evento avverso, imprevisto e dannoso è in grado di pregiudicare il raggiungimento dei miei progetti di vita?
Tra un consulente finanziario che, come prima cosa, cura la protezione e la tutela della persona, della famiglia e dell’impresa, ed un consulente finanziario che come prima cosa chiede “dimmi quanti soldi hai, ti dirò come investirli”, passa tutta la differenza del mondo.
Questa è solo la punta dell’iceberg (o, se preferite, la base della piramide dei bisogni di una persona), perché poi ci sono molte altre componenti del “Rendimento 2” sui quali un investitore dovrebbe essere invitato a ragionare.
Ad esempio, la pianificazione previdenziale, tema non più rimandabile in un Paese dove il pilastro pubblico è – per usare un eufemismo – in difficoltà da anni e dove i tassi di sostituzione attesi sono previsti in forte riduzione, in modo particolare per alcune categorie professionali che avranno (ed in parte già hanno) enormi gap da colmare.
Ancora, come è possibile trascurare la costruzione di un pilastro sanitario integrativo, alla luce di un Welfare in continua ritirata e di una crescente presenza di nuclei famigliari unipersonali?
Oppure, il passaggio generazionale è in Italia un tema da sempre scomodo e poco affrontato. Meno del 10% degli italiani over 55 ha fatto testamento, tuttavia la mancata pianificazione implica che sia la legge a decidere la ripartizione della ricchezza di una persona. È questa la soluzione migliore? C’è modo di provvedere, almeno in parte, ad una diversa destinazione delle risorse magari ottimizzando al contempo il profilo fiscale delle operazioni?
Di questo, e di molto altro, deve e dovrà occuparsi il bravo consulente finanziario.
In tal caso gli spazi di crescita saranno enormi, la percezione di valore da parte del cliente altrettanto. Al contrario diventerà residuale la questione dei costi del servizio, che non rappresenta mai un problema quando il beneficio percepito è alto. E, allo stesso modo, il timorato avvento dei robo advisor e l’avanzare della tecnologia diventeranno un supporto e non un’alternativa al consulente finanziario in carne ed ossa.
Per il semplice fatto che la sartorialità, l’attenzione per il dettaglio, l’ascolto e la capacità di offrire un servizio completo ed olistico non saranno mai nel DNA di una macchina e renderanno la presenza di un professionista di fiducia unica ed indispensabile.
*Faculty Member CUOA Finance, Partner Ecomatica