15 maggio 2019
di Katia Da Ros* e Paolo Gubitta**
Una ricerca di Grand Thorton (Women in business, marzo 2019) a livello globale rileva la crescita della presenza femminile tra i senior manager (29% nel 2019 a fronte del 24% nel 2018) e segnala che per la prima volta la proporzione di donne tra i senior leader ha superato il 25%: Katia Da Ros, imprenditrice e vicepresidente CUOA Business School, e Paolo Gubitta, direttore scientifico di CEFab by CUOA, discutono questo tema nella realtà italiana.
Da una parte, ci sono le imprese grandi.
Tra il 2010 e il 2018, la presenza femminile nei consigli di amministrazione (CdA) delle società quotate italiane è passata dal 7% al 36%, in linea con quanto previsto dalla legge 120/2011 (Golfo-Mosca), che ha imposto alle quotate e alle partecipate pubbliche di avere CdA composti per almeno un terzo da donne. Consob ha dimostrato che le imprese con CdA in cui le donne sono almeno il 30% hanno performance economiche migliori.
Dall’altra parte, ci sono le imprese medie e piccole.
In quelle del Nord Est attive nei settori del Made in Italy (le cosiddette Lepri), i CdA hanno mediamente 4,25 componenti, di cui le amministratici sono il 20%. Una ricerca CUOA e Adacta Advisory ha dimostrato che la quota sale al 25% nelle imprese che nell’ultimo decennio sono cresciute tra il 50% e il 99% e si attesta al 23% in quelle che hanno almeno raddoppiato la dimensione. Comunque la si metta, la gender diversity nella governance genera valore.
Ma c’è dell’altro.
Una ricerca di Grand Thorton (Women in business, marzo 2019) a livello globale rileva la crescita della presenza femminile tra i senior manager (29% nel 2019 a fronte del 24% nel 2018) e segnala che per la prima volta la proporzione di donne tra i senior leader ha superato il 25%: la maggior presenza di donne in ruoli strategici si rifletterà sul miglioramento dei risultati aziendali.
L’imposizione per legge delle «quote di genere» ha portato benefìci al sistema economico italiano e ha contribuito a creare una consapevolezza collettiva, che si sta estendendo ad altri ambiti della società, come dimostra l’appello lanciato dall’associazione Fuori Quota per scoraggiare la tendenza a organizzare dibattiti con soli relatori uomini.
Alle donne in posizione di responsabilità si riconoscono maggiore cautela nel prendere rischi poco ponderati, minor interesse per giochi di potere, maggiore propensione al cambiamento, all’inclusione e al benessere della comunità. Ne consegue, che per misurare l’impatto della presenza femminile non basterà guardare ai soli bilanci come si è fatto fino ad ora.
Nonostante ciò, la strada verso la gender equality è ancora lunga.
Il «Global Gender Gap Report 2018» redatto dal World Economic Forum dice che l’Italia è al 70mo posto su 149 Paesi analizzati e ci colloca al 118mo per pari opportunità alla vita economica e politica.
Chi fa impresa, a partire dal Nord Est, entri nell’ordine di idee che la gender diversity è un’opportunità e faccia la sua parte, a cominciare dall’inserimento o dall’aumento delle donne in CdA alla prima scadenza utile: potranno selezionarle in famiglia, tra i propri collaboratori o tra i «1.000 CV Eccellenti» messi in rete dalla Fondazione Bellisario per dimostrare che le donne all’altezza ci sono. Basta volerlo.
*Imprenditrice e vicepresidente CUOA Business School
**Direttore scientifico di CEFab by CUOA
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Il Valore dell’equilibrio di genere – Corriere Imprese Nordest, 13 maggio 2019 >>