di Alberto F. De Toni
Le scienze della complessità ci hanno regalato molte prospettive con cui guadare con occhi nuovi al mondo delle organizzazioni e del management. Una delle prospettive più interessanti è quella fondata sul concetto di orlo del caos.
Cos’è l’orlo del caos?
È la zona che divide l’ordine dal disordine. Troppo ordine morte per fossilizzazione. Troppo disordine morte per disintegrazione.
La vita è nella zona intermedia tra ordine e disordine.
Non è un caso che la vita nel nostro pianeta sia nata nel brodo primordiale. La vita non può nascere allo stato solido: non c’è movimento (troppo ordine), le molecole non possono incontrarsi per dare vita a nuove combinazioni e generare materia organica da quella inorganica.
La vita non può nascere nemmeno allo stato gassoso: la rarefazione è elevata, la probabilità che le molecole si incontrino è troppo bassa, il moto delle particelle elementari è caotico (troppo disordine).
La vita è nata allo stato liquido. La fluidità ha consentito per milioni di anni miliardi di combinazioni e ricombinazioni tra i diversi elementi.
Siamo abituati a pensare all’ordine e siamo abituati a pensare al dis-ordine. Ma non siamo abituati a pensare all’ordine e al disordine insieme.
Siamo abituati ad associare all’ordine significati positivi e al disordine significati negativi. Siamo abituati a pensare al limite come a una zona rischiosa, possibilmente da evitare. Il limite è una zona rischiosa, ma inevitabilmente da ricercare. I sistemi naturali si trovano in una situazione di ordine dinamico, che non è né l’ordine immutabile e statico, né il disordine incontrollabile e pericoloso del caos.
La scoperta dell’orlo del caos implica dei cambiamenti nel nostro modo di pensare all’ordine e al disordine: dobbiamo renderci conto che ordine e disordine possono essere contemporaneamente presenti.
Inoltre, dobbiamo lasciare da parte il pregiudizio secondo cui il disordine è solamente foriero di effetti negativi: dal disordine, spesso, nasce la creazione, ed esso ha la medesima importanza dell’ordine. La vita, la natura, tutto ciò che siamo e che saremo, tutto ciò che ci circonda è un miracolo che si basa su eterne contraddizioni e conflitti. È l’orlo del caos: un posto rischioso da visitare. Non è ordine e non è disordine. È tra ordine e disordine. Le cose non si escludono, non si elidono, non si neutralizzano a vicenda, ma si aggiungono, coesistono, convivono, si sommano, si integrano, si completano, si richiamano, si equilibrano tra loro.
Come sosteneva Eraclito nei Frammenti, bisogna «unire ciò che è completo e ciò che non lo è, ciò che è concorde e ciò che è discorde, ciò che è in armonia e ciò che è in contrasto».
Picasso affermava che «ogni atto di creazione è prima di tutto un atto di distruzione».
Sono probabilmente gli Indù ad avere la teoria più complessa della creazione e della distruzione: la trinità induista è infatti costituita da Brahma (il creatore), Shiva (che agisce talvolta da distruttore) e Vishnu (l’arbitro), che si occupa di mettere in equilibrio distruzione e creazione.
In economia, il primo studioso a parlare di distruzione e creazione è stato l’economista austriaco Schumpeter nel 1938. Egli afferma che la caratteristica fondamentale del capitalismo è la «distruzione creatrice».
L’impulso fondamentale che aziona e tiene in moto la macchina capitalistica viene dai nuovi beni di consumo, dai nuovi metodi di produzione o di trasporto, dai nuovi mercati, dalle nuove forme di organizzazione industriale. Le imprese rivoluzionano incessantemente dall’interno le strutture economiche, distruggendo quelle antiche e creandone di nuove.
La complessità ha seguito un itinerario che ci ha portati a una cultura dell’and, che prende il posto della classica cultura dell’or.
È Pierluigi Amietta a descriverci questo passaggio fondamentale: «quella complessità che significa la fine del ‘bianco o nero’, del ‘sei con me o contro di me’, ‘io sono nel vero e tu nel falso’, ‘angelo o dèmone’, ‘dannati o eletti’, ‘generalista o specialista’, ‘formazione o addestramento’. Che significa, in ultima analisi, in coincidenza con la fine della cultura dell’o, il principio della cultura dell’e»
Per dirlo con le parole del poeta argentino Jorge Luis Borges: «Quando trovi un bivio, imboccalo».
*Direttore scientifico CUOA Business School
Fonte: Il Friuli Business