di Andrea Furlan*
Perché molte strategie di crescita non vengono adeguatamente attuate e molte riorganizzazioni aziendali non producono i benefici sperati o, peggio, falliscono miseramente?
La causa spesso risiede nelle erronee ipotesi che inconsciamente facciamo sul mondo che abitiamo e che cerchiamo di governare. Tali ipotesi si basano sull’assunto che un certo grado di prevedibilità e di ordine esistano nei contesi in cui operiamo. Se poniamo in essere l’operazione A (ad esempio un’acquisizione), allora dobbiamo ottenere il risultato B (ad esempio la riduzione di costo dovuto alla maggiore dimensionale aziendale).
Ciò, spesso, non succede perché gli ambiti in cui ci troviamo ad operare non sono semplici, ossia composti da poche variabili che interagiscono in modo lineare, ma complessi, ossia composti da tante variabili che interagiscono in modo non lineare.
I contesti semplici sono caratterizzati da stabilità e chiare relazioni di causa effetto tra azioni e conseguenze di tali azioni. Le soluzioni ai problemi sono spesso basate su best practice, ossia soluzioni ampiamente conosciute e standardizzate (Snowden e Boone, 2007).
Nei sistemi complessi, l’insieme è molto più della somma delle parti e l’evoluzione dei sistemi stessi segue processi irreversibili nei quali il passato si mescola con il presente. In queste condizioni, risulta impossibile fare previsioni e inferenze basate sui comportamenti passati del sistema stesso. Se si trovano a dover affrontare un problema complesso, i leader non si possono basare sui fatti già avvenuti e trarre da questi delle soluzioni. Devono, pertanto, sperimentare nuovi approcci. Le soluzioni ai problemi emergono, quindi, dal basso. Quando la complessità aumenta non si può affrontarla centralmente, bisogna decentrare, puntare sulla partecipazione e sull’assunzione di responsabilità da parte di tutti.
Il leader è colui che crea il contesto nel quale la sperimentazione avviene e, grazie ad essa, le routine e le soluzioni di successo vengono favorite dal confronto tra le persone. La capacità di problem solving e la proattività degli individui e dei team diventano la vera fonte del vantaggio competitivo delle imprese.
Il segreto del successo di qualsiasi impresa che opera in contesti complessi non risiede nel genio dell’uomo al comando, ma nel coacervo di decisioni e azioni prese e compiute ogni giorno da una miriade di individui e team interconnessi, auto attivati e auto motivati.
Tuttavia, la sperimentazione non basta. Usando la metafora del surfista, le imprese devono stare sulla cresta dell’onda. Un attimo prima, nel mondo dell’ordine, si muore per fossilizzazione. Un attimo dopo, nel mondo del caos, si muore per disintegrazione. Le imprese devono saper essere “ambidestre”, cioè restare in equilibrio combinando e saldando dinamicamente istanze contrapposte. Da una parte, la ricerca di efficienza, l’applicazione e il miglioramento incrementale di soluzioni conosciute. Dall’altra, l’esplorazione di nuove soluzioni che richiede un surplus di risorse (soprattutto cognitive) e abbraccia la sperimentazione come modalità essenziale di apprendimento.
Il management delle organizzazioni complesse, utilizzando un’immagine, deve assomigliare a Giano Bifronte, il Dio Romano con due volti, uno rivolto al passato (ossia efficientamento, riuso di soluzioni note, miglioramento incrementale) e una al futuro (ossia esplorazione, nuove soluzioni, innovazioni radicali).
Questo approccio richiama molti aspetti della cultura delle contraddizioni e dei paradossi di Toyota (Takeuchi et al., 2008). Una di queste contraddizioni? “Toyota moves slowly, yet it takes big leaps”. Ad esempio, Toyota iniziò la produzione negli Stati Uniti in modo lento e graduale prima formando nel 1984 una joint venture con General Motors e, solo quattro anni dopo, aprendo il suo primo impianto nel Kentucky. Tuttavia, accanto a questo approccio gradualistico ed evolutivo alla crescita, Toyota ha introdotto velocemente delle innovazioni radicali che hanno segnato profondamente tutto il settore automobilistico. Ad esempio, nel 1997 lanciò Prius, la prima macchina ibrida con un anticipo e una lungimiranza formidabile rispetto ai più diretti concorrenti.
La complessità va quindi affrontata, al tempo stesso, in modo agile, orientando processi e persone alla sperimentazione, e snello, orientando l’intera struttura all’efficienza. Per tradurre questi obiettivi in azioni concrete, la strategia dell’impresa deve essere sviluppata lungo tre direttrici: la crescita, le tecnologie e le persone.
La crescita deve essere gestita in modo bilanciato, usando correttamente la finanza e gestendo in modo strategico fusioni e acquisizioni che, se da un lato garantiscono una crescita veloce, possono anche rischiare di diventare autentici mezzi di distruzione di valore.
Usare intelligentemente le moderne tecnologie digitali (digital manufacturing, e-commerce, blockchain) può essere un viatico straordinario per coniugare innovazione ed efficienza. L’uso intelligente delle tecnologie richiede una chiara strategia che deve essere pensata anche in funzione del cambiamento dei modelli di business che queste tecnologie permettono.
Qualsiasi strategia cammina sulle “gambe” delle persone. Strategie che abbracciano il paradossale e la contraddizione come modus operandi si concretizzano grazie alla proattività delle persone. Attirare i giusti profili lavorando sul proprio brand (employer branding) e sviluppare una cultura fondata sul coinvolgimento e la comunicazione diventano, quindi, i capisaldi dell’organizzazione di oggi e, soprattutto, di domani.
Snowden D.J., Boone M.E.,2007, A leader’s framework for decision making, Harvard Business Review, November
Takeuchi H., Osono E., Shimizu N., 2008, The contradictions that drive Toyota’s success, Harvard Business Review, June
*Direttore scientifico del Lean Center di CUOA Business School
Fonte: Harvard Business Review Italia – maggio 2019