9 luglio 2019
Imprese al CUOA n. 51
di Enrica Quaglio*
Il team building non è uno slogan ma una pratica che richiede pianificazione, preparazione e costanza. Enrica Quaglio, docente MBA Imprenditori, spiega come fare team building e perché è dall’imprenditore che deve partire la creazione della cultura del team.
“Teambuilding – Team – Teamwork – Leadership”. Quattro concetti usati, abusati, confusi e, spesso, non messi in pratica correttamente.
Perché sia importante creare squadre di lavoro efficaci in azienda credo l’abbiano già detto e scritto in molti. Riepilogo alcuni degli enormi benefici: clima positivo, condivisione di know how e best practice, miglioramento dei processi, efficacia, efficienza, possibilità di raggiungere obiettivi sempre più sfidanti. Queste sono solo alcuni effetti positivi che possono nascere dal fatto di avere un team eccellente.
In queste poche righe, preferisco però concentrarmi sul come provare a creare team efficaci anche tramite azioni di team building, ma costanti e non isolate.
Spesso, imprenditori e top manager, quando vedono che qualcosa nel loro team non funziona, ricorrono, in particolare con l’arrivo della primavera, ad azioni formative di outdoor training, demandando di fatto al formatore, o ai vari testimonial, il compito di dare indicazioni su come si crea una squadra vincente. Trovo che questo metodo non sia particolarmente utile anzi, lo trovo quasi dannoso in quanto le aspettative che si creano dopo la giornata formativa, se non trovano una risposta concreta nel lavoro di tutti i giorni, creano un pericoloso effetto boomerang.
Credo invece che le azioni di costruzione di un team efficace debbano partire dal vertice aziendale, tramite un’analisi della situazione e lo studio di metodologie efficaci, fra le quali possono esserci anche gli outdoor training, consci tuttavia del fatto che sarà necessaria costanza nel portare avanti tutti i giorni i valori che si esplicitano in una giornata di outdoor.
Se penso ad azioni di “team building”, penso alla necessità di costruire, ma anche di compattare una squadra di lavoro che deve affrontare un compito importante. C’è una grande differenza, ad esempio, fra il team building aziendale e quello militare. Prima di ogni missione in teatri di guerra, i militari fanno un periodo di “amalgama”, una trentina di giorni in cui ci si conosce, si impara a fidarsi (o a non fidarsi) dei compagni, si viene formati e ci si “compatta” per la missione che si andrà a svolgere.
In azienda invece, spesso si fa team building per curare e non per prevenire, e trovo che questa sia la madre degli errori.
Le azioni di “team building” devono essere fatte all’inizio di un percorso, di un forte cambiamento aziendale, prima di un progetto importante, e non come cura perché qualcosa non sta andando come volevamo. Esaurito questo primo momento, ci si potrà concentrare di più sul “team working”, e cioè sull’analisi dell’efficacia e dell’efficienza della collaborazione fra persone e reparti aziendali.
Ritorniamo a leggere la prima riga: “Teambuilding – Team – Teamwork – Leadership”. L’ordine non è casuale in quanto fatico a pensare che possa esistere un team senza che a monte ci sia stata una volontà di “creazione di un team” e senza che ci sia successivamente un team work, e cioè una capacità di lavorare bene insieme.
Ma tutto questo parte dal leader e dalla sua chiarezza di idee in merito all’obiettivo. Dalla volontà di creare squadre performanti e non gruppi di persone che, invece di lavorare insieme, lavorino “contro” secondo la logica “divide et impera” che è ritenuta una strategia valida a detta di molti.
In quest’ottica, trovo utile il fatto di pianificare una sessione di team building durante MBA Imprenditori di CUOA Business School per spiegare, operativamente, ai leader delle aziende, l’importanza di creare ed essere team performanti. Il team rugby di quest’anno, svoltosi a Monigo, e cioè nello stadio in cui la Benetton Treviso gioca le sue partite casalinghe, ha aggiunto un po’ di emozione e di “sacralità’” ad una prassi ormai consolidata.
La cosa entusiasmante, anche per chi insegna a fare team building è avere in aula imprenditori, ovvero i leader da cui devono scaturire le idee e le basi di costruzione della squadra di lavoro. Leader che si confrontano, che cercano di migliorarsi, che ammettono anche di aver sbagliato. Con loro abbiamo discusso ad ampio spettro di processi, di errori fatali che spesso si compiono, dando per scontate dinamiche che invece così scontate non sono. Abbiamo parlato di pianificazione e di “pazienza” per attendere la maturazione degli eventi, ma siamo partiti da una base fondamentale: creare cultura del team. Solo con la “cultura” aziendale possiamo veicolare valori ed eccellere nel lavoro di squadra. E la cultura giusta può essere proprio quella racchiusa nei 4 principi del rugby: avanzare, sostenere, pressare e continuare che ben si prestano ad essere applicati a livello aziendale:
- Avanzare sempre verso l’obiettivo prefissato, non perderlo mai di vista, sapere in ogni momento cosa stiamo facendo e perché lo stiamo facendo.
- Sostenere il compagno in difficoltà (nel rugby la palla si passa solo all’indietro, per questo un mio compagno dovrà sempre essere al mio fianco, leggermente dietro di me, per portare avanti la palla quando io non lo posso più fare).
- Pressare l’avversario, migliorando sempre le nostre performances e quindi facendo mettere in discussione anche le strategie/capacità dei nostri competitor.
- Continuare. Sì, continuare. Perché tutte queste cose non basta farle una volta soltanto. Tutte queste cose vanno fatte costantemente nel modo corretto. È la costanza che distingue i professionisti dai dilettanti.
*Enrica Quaglio, Faculty member MBA Imprenditori