29 luglio 2019
di Paolo Gubitta e Davide Merlin
Lo sport come metafora del lavoro imprenditoriale e manageriale non è una novità di CUOA Business School. Dopo aver riflettuto sul rugby (Rugby e Imprenditorialità e Team building e l’importanza del come), è la volta del triathlon. Ne discutono, in forma di dialogo, Davide Merlin (faculty member MBA Imprenditori e tra i selezionati per l’Ironman World Championship 2019 e Paolo Gubitta), direttore scientifico di CEFab by CUOA.
Paolo Gubitta
Il triathlon è una splendida metafora dell’attività imprenditoriale:
- è multidisciplinare, come il portafoglio di competenze che imprenditori e imprenditrici devono mobilitare per la gestione del business
- è sia individuale sia a squadre, come lo è il mestiere imprenditoriale, perché se è vero che la performance è sempre frutto di un lavoro di team, è altrettanto vero che c’è sempre chi prende la «decisione di ultima istanza» e chi lo fa è «sempre in modo individuale»
- si esprime in diverse modalità in relazione alle distanze da percorrere (Supersprint, Sprint, Olimpico, Doppio Olimpico, Half Ironman, Ironman), così come l’azione imprenditoriale si manifesta in modi diversi, sotto il profilo dei comportamenti, delle decisioni e delle strategie da adottare.
Davide Merlin
L’analisi è corretta, ma è parziale. Si dice spesso che per fare impresa un po’ si nasce e un po’ si diventa. La mia esperienza nel triathlon conferma questa impostazione.
Io ho iniziato a fare triathlon nel 2013, quando un collega ciclista mi ha praticamente costretto a prendere una bicicletta. Dato che da bambino e da adolescente avevo fatto nuoto e alcuni anni prima avevo corso un paio di maratone, memore delle Olimpiadi di Londra 2012 dove avevo visto la gara di triathlon, ho deciso di mettere tutto insieme, che è un po’ come quello che fanno le persone che prendono una decisione collegando dei puntini e dando loro significato.
Come nell’attività imprenditoriale, le competenze per iniziare aiutano ma non sono fondamentali, perché si possono costruire strada facendo.
Serve invece quella che gli inglesi chiamano attitude: un mix tra atteggiamento volitivo e caparbietà.
Paolo Gubitta
Il bilanciamento tra skill tecniche e manageriali e competenze personali e sociali è un tratto caratteristico di imprenditori e imprenditrici di successo. Le prime si acquisiscono attraverso percorsi formativi formalio attraverso l’esperienza on the job. Le seconde, invece, sono per una parte innate e per l’altra si possono acquisire con modalità di formazione esperienziale.
La combinazione tra queste componenti fa la differenza, come dimostra una ricerca realizzata da CUOA Business School e pubblicata nell’articolo Fostering performance through leaders’ behavioral competencies, pubblicato su International Journal of Organizational Analysis.
In questa ricerca sono state studiate le competenze distintive di imprenditori e imprenditrici di MBA Imprenditori CUOA collegandole alle performance delle loro imprese. Il fattore che impatta maggiormente sul successo dell’impresa è stato definito entrepreneurial engaging exploitation, e identifica chi sa mettere insieme un marcato orientamento all’efficienza, con la piena consapevolezza di come funziona un’organizzazione e di come si gestiscono le sue dinamiche interne, e soprattutto con una spiccata propensione al lavoro di gruppo.
Questi risultati sono consistenti perché sono stati dedotti da un’approfondita analisi di ciò che imprenditori e imprenditrici sanno (conoscenze), sanno fare (competenze), hanno concretamente fatto nella loro vita (performance).
Davide Merlin
Mi ritrovo nel ragionamento che hai appena fatto.
Sulle lunghe distanze, il triathlon è uno sport che permette di sviluppare due competenze: visione strategica e focus sull’execution.
Mi spiego meglio, raccontandoti la mia esperienza.
Visione strategica: quest’anno puntavo a conquistare la slot per i mondiali, ma sapevo che i posti a disposizione erano pochi e la concorrenza agguerrita. Dall’anno scorso, ho studiato bene la frazione di bicicletta per focalizzare gli allenamenti su percorsi simili (è come se avessi fatto una analisi di mercato), ho guardato chi erano gli altri partecipanti della mia categoria, quali risultati avevano ottenuto in gare simili e dove dovevo migliorare per batterli (è come se avessi fatto l’analisi della concorrenza). Infine, sapendo che per migliorare non potevo più ripetere i soliti allenamenti, mi sono fatto affiancare da un allenatore che mi ha seguito con tabelle specifiche ed esami periodici; come quando un’azienda sceglie di farsi affiancare da un consulente esterno per un cambio di paradigma.
Focus sull’execution: in una gara di 10 ore nulla può essere lasciato al caso. L’orologio con il cardio frequenzimetro mi indicava il wattaggio che dovevo tenere per non andare fuori giri (fa la stessa funzione dei KPI in azienda). Sapevo quando e cosa mangiare, e in più c’era un allarme me lo ricordava (come un sano processo di pianificazione industriale). E poi come spesso succede, avevo un po’ di backup per gestire l’imprevedibile che spesso accade e non solo in gare Ironman!
Devo a questo metodo il fatto di aver completato l’IRONMAN Zurich Switzerland 2019 (3,8 km di nuoto, 180 km in bicicletta, 42,195 km di corsa) di metà luglio in 9 ore e 50 minuti.
Fare triathlon inoltre, permette di staccare dalle incombenze professionali e di pensare a come gestire i problemi di gestione senza condizionamenti ed interruzioni. Quando fai attività fisica aerobica per un po’ di tempo, ad un certo punto il battito cardiaco si stabilizza e il respiro si sincronizza con il movimento. Lì sei entrato nel flow. E nel flow le cose a volte appaiono in maniera diversa.
Ci sono inoltre parecchi punti di contatto con le tematiche del Lean Management, che è il tema che sviluppo come Faculty Member di MBA Imprenditori:
- Kaizen, miglioramento continuo. La voglia di superare lo status quo sia nella vita professionale che nello sport.
- Hansei, la capacità di guardare a quello che non ha funzionato senza senso di colpa, ma cercando di apprendere dalle esperienze fatte.
- Nemawashi, l’arte di creare il consenso. La forza di un team di lavoro è fondamentale tanto in azienda per portare avanti il cambiamento e renderlo sostenibile, quanto nel triathlon. Il triathlon sembra uno sport individuale, ma riuscire a praticarlo nell’ambito di una squadra (come faccio io) permette di accelerare il percorso di miglioramento grazie al confronto con i propri compagni, potendosi confrontare quotidianamente con persone più forti di te.
Paolo Gubitta
Il passaggio da una disciplina all’altra nel triathlon è un po’ come passare da uno stato del mercato a un altro nell’attività imprenditoriale.
Nell’attività d’impresa si parla di resilienza organizzativa, per indicare la capacità di risollevarsi dopo aver sperimentato una crisi o subito uno shock. Chi la possiede, è in grado di intervenire con rapidità e determinazione per bloccare la propagazione degli effetti negativi, impiegare in modo oculato le risorse distintive per mettere in sicurezza il business, e riavviare in tempi brevi un ciclo virtuoso di crescita e redditività.
Davide Merlin.
Nel triathlon succede grosso modo la stessa cosa.
Anzitutto, serve capacità di adattamento. I mercati cambiano ad una velocità frenetica, la volatilità è all’ordine del giorno e spesso paga di più la flessibilità della sola efficienza. Il triathlon, come sport multidisciplinare, ti obbliga ad adattarti a contesti diversi. Prima nuoti con grosso sforzo delle braccia, poi sali in bici e lì devi aspettare alcuni minuti affinché lo stomaco si stabilizzi e il sangue affluisca alle gambe. Infine, corri ma il tuo cervello ha memorizzato un movimento completamente diverso, quello di 180 km di bici e ti ci vuole un po’ per riprendere il giusto coordinamento degli arti inferiori.
E poi bisogna imparare a gestire le crisi. Prima o dopo arrivano. Sempre. Il tuo fisico può essere preparato, come può esserlo la tua azienda. Ma la testa è un’altra cosa. La testa deve saper dominare la crisi, come chi fa impresa deve esprimere leadership e guidare il team nei momenti difficili.
In un Ironman la testa deve convincere il corpo che ce la può fare e che la gioia al traguardo sarà superiore alla fatica che si sta affrontando. Spesso ci riesce, a volte purtroppo no.