di Alberto Felice De Toni*
Di fronte a un problema complesso avete sempre due alternative: la prima è quella di aumentare le vostre capacità di risoluzione. La seconda è quella di selezionare solo un pezzo del problema e di concentrarsi su di esso.
Popper amava ricordare che “la consapevolezza non inizia con la cognizione o con la raccolta di dati o fatti, ma con i dilemmi”.
Il dilemma può essere così posto: all’aumentare della complessità esterna, ovvero di ambienti sempre più difficili da affrontare, la complessità interna delle organizzazioni va aumentata o ridotta?
In altri termini, come devono rispondere le organizzazioni alla crescente complessità ambientale?
Aumentare la complessità organizzativa, come indicato da Ashby con la sua “legge della varietà necessaria” del 1956 o ridurre la complessità organizzativa selezionando solo una parte di complessità esterna come indicato nel 1984 da Luhmann?
La legge di Ashby dice che “per controllare un sistema di una certa varietà è necessario un sistema di controllo avente una necessaria varietà”.
La legge, applicata alle organizzazioni, comporta che all’aumentare della complessità ambientale – espressa come varietà, variabilità, interdipendenza e indeterminazione (in una parola varianza) – deve crescere il livello di complessità interna all’organizzazione.
Il livello di varianza presente all’interno di un’organizzazione deve essere quindi almeno pari al livello di varianza ambientale. La complessità organizzativa interna è in ultima analisi la risposta adattativa alla complessità esterna.
Secondo Luhmann un sistema è delimitato da un confine tra sé stesso e il proprio ambiente; confine che lo separa da una complessità esterna infinita o caotica.
L’interno del sistema è quindi una zona di complessità ridotta, che può affrontare solo una porzione di complessità esterna, che va quindi selezionata. Va pertanto realizzata una scelta selettiva della varianza esterna da contrastare con quella interna. L’organizzazione che adotta questa soluzione si specializza in alcune funzioni, selezionando quelle che giudica più convenienti e gestibili. Le aziende, ad esempio, si concentrano sul core business ed esternalizzano le funzioni non-core.
Come affrontare quindi la crescente complessità esterna? Aumentando la complessità interna o selezionando la complessità esterna?
Non c’è una risposta “giusta” al dilemma: le organizzazioni che si confrontano tutti i giorni con la complessità devono trovare di volta in volta il giusto mix delle due “ricette”.
Ma non basta. Esiste sempre un gap tra la complessità interna e quella esterna, perché aumentare la prima è troppo costoso e ridurre selettivamente la seconda è troppo rischioso. Questo gap lascia uno spazio decisivo per l’azione di soggetti– persone, reti e comunità – che usano la loro intelligenza fluida per interpretare e governare la varianza delle situazioni.
Il gap è uno spazio libero per l’attivazione dell’intelligenza, dell’intraprendenza e delle capacità auto-organizzatrici degli uomini, per far fronte con mezzi “biologici” alla complessità in eccesso che non risulta governabile dalle due soluzioni sistemiche descritte: organizzazioni centralizzate e onnicomprensive (modello Ashby); organizzazioni specializzate sul core business e ricorso all’outsourcing (modello Luhmann).
Le persone fanno così da “ponte” tra la complessità esterna e l’organizzazione sistemica che non riesce a metabolizzarla (Ashby o Luhmann o un loro mix). C’è uno spazio enorme da riempire, una prateria da esplorare. Lo spazio della complessità è lo spazio della libertà. Più complessità esiste nel mondo e più libertà esiste nel mondo.
La millenaria cultura italiana, figlia della Magna Grecia, è profonda e stratificata nel tempo, distribuita in una miriade di centri e borghi concentrati in uno spazio geografico limitato che ne ha favorito un’evoluzione storica fondata sull’ibridazione anche con nuove popolazioni; un grandissimo senso estetico del bello, una cultura aperta alla diversità e al nuovo che avanza. Un’autentica miniera dove estrarre con continuità esperienze, approcci, metodi, prospettive; una palestra dove allenare un pensiero libero, laterale, divergente, creativo, generativo, visionario.
L’esistenza di un gap strutturale e permanente da colmare, da un lato, e di uomini dotati di una cultura millenaria, dall’altro, significa una sola cosa: che il futuro dell’Italia è ricco di opportunità e potenzialità che aspettano solo di essere colte.
*Direttore scientifico CUOA Business School
Fonte: Il Friuli Business