Etichette digitali e informative di ogni dettaglio, blockchain per tracciarne l’origine e il percorso, enoteche virtuali che offrono una gamma amplissima di prodotti, gallerie sensoriali, packaging e formati originali per attrarre l’attenzione, ma anche per proporre un consumo adeguato a nuove richieste talvolta tutte da creare… diciamocelo:
la qualità del vino non è più il solo criterio che determina la vendibilità di una bottiglia.
In un mercato che sempre più si apre a palati e gusti differenti e consumatori culturalmente meno vicini alla “nostra” tradizione, a creare il valore del vino è, spesso, tutto ciò che non è Vino.
Oggi in Italia è difficile trovare un vino percepibile come “cattivo” e, al di là dei gusti personali, a farne il mercato è un insieme di aspetti che in qualche modo poggiano e si sviluppano a partire da un approccio innovativo a 360°. Così, potremmo dire che senza innovazione non ci sarà futuro e che su di essa occorre concentrarsi, pur senza trascurare l’operatività tradizionale e – anzi – potenziandone in tal modo l’efficacia.
“I viticoltori e i loro collaboratori devono comprendere, più di quanto già non facciano, che l’acquisto di una bottiglia è guidato da fattori che non sono solo la marca e il prezzo – esordisce Claudia Ragalzi, grafica e designer, docente della specializzazione “L’innovazione del vino” dell’Executive Master in Wine Business del CUOA – Il vino comunica innanzitutto grazie a bottiglia ed etichetta, primi elementi di un’immagine che è in continua evoluzione e va ben oltre il corpo contenitore, ma è proprio a partire dalla ‘forma’, che diamo al nostro vino, che nasce l’innovazione che sfida e conquista il mercato, oggi: dall’analisi degli impulsi emotivi generati dall’utilizzo di cromie, materiali, finiture, tecniche di stampa e studio del packaging’.
Attenzione, però, non c’è solo l’involucro e non basta introdurre acriticamente nuovi strumenti, nuovi materiali, nuove tecniche occhieggiate un po’ ovunque, magari non ben comprese e fatte proprie.
Parafrasando Proust potremmo dire che “il vero viaggio verso l’innovazione non consiste solo nella ricerca di nuove tecniche, ma nell’usarle con nuovi occhi”.
Ad esempio, la comunicazione può avvalersi anche di strumenti già noti, magari ripensandoli in un’ottica mirata a nuovi mercati, sia dal punto di vista geografico che organizzativo.
“Produttori che vogliano offrirsi al mercato della GDO o vogliano scoprire e testare nuovi segmenti, possono ridurre i costi e massimizzare i risultati grazie al co-marketing – spiega Giulia Rumor direttore creativo e docente della specializzazione “L’innovazione del vino” dell’Executive Master in Wine Business del CUOA – grazie alla partnership tra uno o più brand, coerenti per posizionamento e target, è possibile mettere a frutto i rispettivi prodotti/servizi e canali comunicativi in un’unica campagna, moltiplicando il volano di marketing e i risultati”.
In generale, comunque, il tema fondamentale è che ai protagonisti del mercato odierno servono competenze articolate e complesse che provengono da esperienze e visioni diverse da quanto tradizionalmente fa parte del patrimonio culturale del vino italiano, per amplificarne il valore commerciale accanto a una qualità impeccabile.
Chi coltiva, produce e vende questo nettare che amiamo e che tanti ci invidiano non può fermarsi alla ‘tradizione’, ma deve sforzarsi di migliorare introducendo in modo “ragionato” nuove metodiche e nuove tecnologie. Per farlo ha bisogno di imparare e di essere affiancato da consulenti e tecnici in grado di dare supporto professionale a questo cambiamento e – soprattutto – alla formazione ed eventualmente al completamento di un team che sappia guardare avanti, puntare “criticamente” sull’innovazione, come in qualunque altro settore che voglia costruirsi o garantirsi un futuro.
“Si dice che, alla domanda su quale sia l’elemento più importante per il successo di una start-up, il mondo degli investitori solitamente risponda: il team. E che alla successiva domanda su quali siano il secondo e il terzo elemento, in ordine di importanza, la consueta e solo apparentemente scherzosa risposta sia: il team e ancora il team”.
Così Franco Bocchini, ingegnere, Business Angel e docente della specializzazione in Innovazione dell’Executive Master in Wine Business CUOA, racconta come trasformare le buone idee in veri business.
“Naturalmente non basta una buona squadra – completa, coesa, focalizzata, flessibile – è anche necessario che un’idea sia potenzialmente in grado di risolvere un problema o soddisfare un bisogno e che il business sia “scalabile”, però l’aneddoto chiarisce le basi su cui si fonda il giudizio di chi può supportare, non solo finanziariamente, la nuova avventura”.
Il fattore umano, insomma, fa sempre la differenza e va coltivato per essere adeguato al compito. È tutta questione di Vision.
Autore: Francesca Pedrazza Gorlero, Team di Progetto Executive Master in Wine Business
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L’innovazione del vino
1ª edizione, dal 17 ottobre 2019 – 4 weekend