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Disability for Leadership

Parlare di disabilità e leadership sembra apparentemente una forzatura, anzi ai più una contraddizione.
Dal punto di vista etimologico la disabilità esprime assenza di abilità, mentre al contrario la Leadership è l’espressione massima delle abilità.
Ma pur nel limite estremo della disabilità, è possibile individuare degli elementi che elevano il concetto di Leadership nel management attuale?

Nel comune sentire la Leadership viene rappresentata come qualcosa di dinamico, forte, talentuoso, capace, senza limiti. Leadership significa avere la capacità di imporre le proprie idee a tal punto da condizionare gli altri a seguire la tua linea di pensiero. Il leader è perciò al centro del gruppo, è colui che guida (dal verbo inglese “to lead”, dirigere) e che si impone grazie alle proprie abilità. La capacità di essere leader permette di avere un canale privilegiato nelle interazioni sociali.

La disabilità definisce per forza di cose una situazione limitante, non solamente per le menomazioni o le difficoltà fisiche o psichiche, ma anche per le ridotte interazioni sociali che portano le persone disabili ad avere delle condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale. La mancata autonomia azzera tutte le abilità a tal punto da rendere la persona disabile come colei che ha bisogno di essere guidata.

Da questa premessa si intuisce come il concetto di disabilità non sia mai stato un elemento di forte impatto nella cultura manageriale e soprattutto in quella disciplina che ha a cuore il tema della Leadership.
Non risulta nella vasta letteratura qualcuno che abbia cercato di elevare il tema della Leadership andando a scavare negli aspetti più intimi della disabilità. Eppure grazie alla disabilità la Leadership può completarsi assumendo la sua forma massima e più elevata.

Come? Lo spiega bene Satya Nadella, CEO di Microsoft, nel suo nuovo libro “Hit Refresch”.

Cresciuto in India, 51 anni, Nadella è riuscito a rilanciare Microsoft creando una leadership che punta sull’arte dell’ascolto. Da momento della sua nomina nel 2014 a terzo CEO di Microsoft, dopo Bill Gates e Steve Ballmer, è stato in grado di raddoppiarne il valore tanto da valergli il titolo di CEO dell’anno secondo Forbes e da trasformare Nadella nel guru indiscusso del business management.

Ma se qualcuno gli chiede quale sia stato il segreto del suo successo, Nadella risponde che la chiave di tutto è l’“empatia”, ossia la capacità di mettersi nei panni degli altri.
Tra le esperienze che hanno segnato in modo indelebile Satya Nadella e che hanno contribuito a rafforzare più di ogni cosa il suo senso di empatia è stata la nascita del suo primogenito, affetto fin dai primi giorni da una disabilità importante che non gli permetteva di parlare né di muoversi.

Lo spiega così Nadella nel suo libro:

“All’inizio non facevo altro che chiedermi: “Perché questo è successo a me?, poi ho capito che a me non è successo proprio nulla. In realtà questa cosa era successa a mio figlio e per me era il momento di provare a vedere la vita attraverso i suoi occhi e fare ciò che mi spettava, in quanto genitore e in quanto padre”.

Attraverso l’esperienza inaspettata della disabilità, Nadella ha sviluppato il senso più alto dell’empatia, che non è qualcosa che si sviluppa solo con gli amici o all’interno della famiglia, ma diventa una priorità anche nel fare impresa.
Il mantra di Nadella, “Listen more, talk less and be decisive when the time comes”, letteralmente, “Ascolta di più, parla meno e sii decisivo quando arriva il momento”, incarna l’essenza della Leadership.

“Essere un padre empatico – aggiunge Nadella – porta con sé il desiderio di scoprire il nocciolo della questione, l’anima delle cose, il che mi rende un leader migliore”.

Per essere un capo empatico bisogna uscire dal mondo, andare là dove le persone vivono e lavorano. L’empatia richiede capacità di porsi dall’altra parte e propensione di stupirsi di fronte alla diversità. È importante per i leader essere sensibili al tema della diversità e dell’inclusione. Da qui è possibile cogliere nuove idee, trovare posizioni di pensiero rivoluzionarie, cogliere suggerimenti che possono migliorare il tuo modo di fare. È un aspetto culturale che si presenta in ogni incontro di lavoro. Ognuno è diverso, ognuno ha il suo background, ognuno ha talenti e potenzialità diverse.

L’empatia, l’arte dell’ascolto e la cultura del diverso diventano perciò tratti essenziali della Leadership che permettono di tirare fuori il meglio dalla propria squadra.
Ma qual è la chiave per sviluppare l’empatia ed essere così un buon leader empatico?

Il segreto per Nadella è accettare l’ “impermanenza”. L’esperienza della disabilità o di un fatto che ci fa soffrire ci permette di sviluppare l’empatia e la compassione per tutto ciò che ci circonda. Gli alti e bassi della vita ci fanno capire che nulla è permanente e che per non soffrire bisogna accettare l’impermanenza.

Il tema della Leadership in questo caso si apre a un nuovo scenario che va oltre l’impostazione classica che da sempre di basa sull’interrogativo: “Leader si nasce o si diventa?”.

La Leadership non è solo per persone predestinate o per chi ne ha appreso alcune tecniche da utilizzare nelle diverse circostanze.

Esiste anche una terza via, che qui chiameremo “esperienziale”. La leadership può essere anche il frutto dello sviluppo antropologico dell’uomo che grazie alle esperienze positive o negative della vita ne assume tratti distintivi e probabilmente inaspettati.

La Leadership perciò evolve in funzione delle esperienze della vita. La disabilità, nella sua accezione di angoscia iniziale e successivamente come sentimento di accettazione e gioia, offre al leader l’opportunità di elevarsi fino a raggiungere il suo massimo grado di espressione.

Il leader d’azienda non può a questo punto che avere un’unica e grande passione: mettere l’empatia al centro di tutti i suoi obiettivi. Dai prodotti che vengono lanciati ai nuovi mercati che s’intende esplorare, dai dipendenti ai clienti che si incontrano nelle varie occasioni, dai fornitori ai partner, fino ad arrivare al team con cui lavora tutti i giorni.

Autore: Marco Zampieri, Founder & CEO presso Manager a Tempo Srl – Direttore Generale in aziende partecipate da Fondi di Private Equity, Alumnus Executive MBA 3