Scrivere oggi, in piena emergenza sanitaria, quali impatti il Coronavirus ha e avrà sulle aziende e sul sistema economico è veramente impresa ardua. Lo è anche considerando che ancora nessuno può fare stime e proiezioni serie su quanto questa emergenza durerà. Lo scenario più probabile è che ci troveremo a lottare fino a quando non uscirà un vaccino che possa debellare definitivamente questo terribile virus. Lasciamo, quindi, alla scienza medica fare il suo corso. Ci vorrà del tempo e con questa amara realtà dobbiamo fare i conti.
Per sintetizzare l’atteggiamento che dovremo avere mi sembra azzeccato, scevro da ogni significato politico, il motto di Gramsciana memoria, “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”.
Bisogna essere realisti e questo sicuramente non è il tempo di facili ottimismi. Razionalmente, abbiamo capito che non torneremo presto alla normalità e che dovremo convivere con questo virus ancora per un bel po’. Dobbiamo prendere atto della situazione, ma non possiamo rimanere inerti. Dobbiamo avere la volontà di cominciare a immaginare, e assumere, decisioni per il nostro futuro.
Vediamo quindi la situazione. Tutto il sistema economico è in emergenza, ma sarebbe sbagliato fare di tutta l’erba un fascio. Mentre la causa, lo shock come lo chiamano alcuni, è comune, le situazioni sono diverse e di conseguenza anche le soluzioni devono esserlo. Ci sono aziende che si trovano a far fronte a un’improvvisa impennata della domanda: pensiamo alle aziende che operano, a vario titolo, nella filiera della salute, ma anche alle aziende logistiche legate alle consegne a domicilio o alcune aziende di generi alimentari a lunga scadenza. Ci sono, invece, aziende che hanno visto annullare le prenotazioni, come ad esempio tutto il settore turistico. Imprese i cui clienti hanno rinviato gli ordini a data da destinarsi o che hanno dovuto chiudere l’attività produttiva per ragioni di sicurezza e salute. Filiere produttive che sono bloccate e che hanno causato la chiusura o il rallentamento per mancanze di fornitura. Ovviamente, il tutto è esacerbato dall’attuale blocco totale del sistema produttivo ad eccezione delle filiere essenziali.
Lo Stato e le Istituzioni internazionali sono chiamati a fare la loro parte per garantire la tenuta economica e sociale, messe a dura prova da questa terribile crisi e dalla pesante recessione globale che ne seguirà. Ma anche la classe imprenditoriale e manageriale è chiamata a giocare una partita essenziale. Ed è proprio agli imprenditori e manager che penso, scrivendo queste poche righe.
Mi occupo di Lean Management da diversi anni e sono convinto che le tecniche e i principi di questa metodologia possano aiutare. Attenzione però, tutto “cum grano salis”. Non sto dicendo che la Lean sia la panacea o possa essere applicata sempre, né che esaurisca tutte le leve a nostra disposizione.
Per mettere ordine alle idee, trovo utile pensare in termini di orizzonti temporali: immediato, medio e lungo.
ORIZZONTE IMMEDIATO
Nell’immediato, nonostante la pressione, non decidiamo di pancia, prendiamoci una pausa, analizziamo i problemi, facciamo una lista di opzioni, decidiamo un piano di azione e rimaniamo flessibili se le cose non vanno come previsto. Diamoci delle priorità, focalizziamoci sui problemi immediati e rimandiamo tutto ciò che si può rimandare, senza che ciò danneggi la nostra attività.
I problemi immediati non differibili sono molti e le soluzioni devono essere mirate. Chi si trova a dovere aumentare la capacità produttiva può trovare nella Lean alcune risposte. Per le aziende che conoscono la metodologia, eventi kaizen volti a mettere a flusso processi o migliorare il layout di fabbrica possono portare grandi benefici anche nel breve.
Le aziende che si trovano a fare fronte a rinvii degli ordini devono, innanzitutto, garantire la relazione con il cliente.
Capire il valore per il cliente (primo principio della Lean) deve diventare il “mantra”.
Questo è il momento di dare più servizi (anche gratuiti), per non perdere la relazione con i clienti che sperabilmente stanno solo spostando in avanti gli acquisti. Tra poco acquisteranno ancora, e se siamo stati loro vicini, compreranno da noi, magari anche di più.
Chi ha perso definitivamente gli ordini deve analizzare in che misura questa perdita impatterà sulla loro tenuta economica ed, eventualmente, impostare un riposizionamento anche strategico. Molte aziende stanno gestendo una parte della loro forza lavoro a distanza, il cosiddetto smartworking. Questo per molti è un territorio nuovo. C’è bisogno di apprendimento, partendo dal capire che smartworking non è semplice telelavoro.
Smartworking richiede un ripensamento dell’organizzazione legato ad un minore controllo e ad una maggiore responsabilizzazione delle persone che devono lavorare per obiettivi, facendo leva sull’auto-organizzazione.
Questo richiede un cambiamento che prima di essere tecnologico è soprattutto culturale. Le aziende devono compiere questo salto in un breve periodo di tempo se non vogliono trasformare lo smart working in “dumb working”. Anche qui, sono convinto che metodi “Lean” di problem solving (come PDCA o Kata), i cui requisiti sono la proattività delle persone e il loro coinvolgimento, possono equipaggiare meglio le aziende ad affrontare questo cambiamento.
Le catene di fornitura sono poi un altro tasto dolente. Le aziende devono fare leva sulle partnership con i fornitori e sulla gestione snella delle forniture. Nell’immediato, si devono attuare azioni di supply chain transparancy (mappare i componenti critici a vari livelli della filiera e stimare la disponibilità di scorte nella supply chain). Il funzionamento della supply chain deve essere, quindi, assicurato blindando la capacità logistica e di trasporto, che può essere messa sotto pressione in questo periodo. Un’oculata e prudenziale gestione della supply chain può, inoltre, allentare i problemi di liquidità. In questo periodo, le imprese si troveranno ad affrontare una riduzione delle vendite e dei margini e una conseguente pressione sui profitti e sulla liquidità. Le imprese dovranno ricorrere a stress test frequenti per verificare i loro requisiti di capitale e la loro solvibilità finanziaria. Attraverso una riduzione delle scorte, una intelligente gestione delle flotte logistiche e un rinvio di acquisti non essenziali, la supply chain può contribuire in modo decisivo ad allentare la morsa della scarsa liquidità.
ORIZZONTE DI MEDIO PERIODO
Le soluzioni nell’immediato dovrebbero garantire la sopravvivenza, ma non sono sufficienti. Bisogna già da subito pensare al medio e lungo periodo e prendere delle decisioni corrispondenti.
Veniamo all’orizzonte di medio termine, ossia i prossimi mesi. Qui le cose si complicano perché si aprono molteplici scenari. Per brevità, mi focalizzerò su uno che ritengo essenziale, ossia le filiere del futuro. Ho letto e sentito da qualche parte che la causa della carenza di mascherine, respiratori e test diagnostici (i tamponi) sono le filiere just-in-time (ossia a scorte zero). Nulla di più lontano dal vero. Innanzitutto, non è vero che le filiere sono a scorta zero. Diversi studi empirici mostrano che lungo le catene di fornitura si accumulano molte scorte e che i tassi di rotazione hanno subito forti rallentamenti negli ultimi anni. Segno questo che le filiere sono poco snelle. Ma al di là di questo, pensiamo un attimo al vero rapporto di causa-effetto.
Come è possibile avere scorte di prodotti per tutto in anticipo? Come potevamo prevedere un aumento della domanda così elevato per questi prodotti e come potevamo prevedere la quantità, il tipo e il luogo di questo bisogno? La verità è che ci siamo trovati senza mascherine e respiratori perché non venivano più prodotti in Italia. Le filiere si sono globalizzate e allungate e sono diventate più lente e vulnerabili.
Dobbiamo impostare filiere produttive più corte e veloci, ossia più just-in-time.
Laddove questo non è possibile, dobbiamo garantire robustezza alla nostra catena di fornitura. Una politica di single sourcing (unico fornitore) è troppo pericolosa soprattutto quando il fornitore è a migliaia di chilometri di distanza.
ORIZZONTE DI LUNGO PERIODO
Se l’orizzonte di medio periodo è complicato, quello di lungo periodo diventa complesso, sia per il numero di possibili ramificazioni che per l’incertezza che lo caratterizza. Anche qui il Lean, soprattutto nella sua dimensione “soft”, ossia legata alla strategia e alle persone, ci può dare qualche indicazione.
Centrale a mio avviso è il tema della ridondanza cognitiva.
Se c’è una cosa che in questo momento si sta rivelando vitale per le aziende non è tanto la ridondanza fisica (più capacità produttiva, più scorte), ma la ridondanza cognitiva (maggiori competenze, buona reputazione, ottime relazioni con il mercato).
Le istituzioni formative che hanno investito sulla didattica innovativa a distanza, anche quando la didattica era prevalentemente in presenza, adesso si trovano a navigare meglio il mare in tempesta e riescono a garantire un servizio dignitoso ad allievi e studenti. Queste organizzazioni hanno accumulato conoscenza in un periodo nel quale questa conoscenza non serviva, in vista di un cambiamento futuro che si è materializzato nottetempo. Buon per loro, meno bene per chi non ha avuto questa lungimiranza!
Un altro esempio sono le aziende che hanno sviluppato degli standard con i loro dipartimenti IT e il personale per permettere alle postazioni di lavoro negli uffici di essere convertire in remote working attraverso un’interfaccia tecnologica.
Per quanti sforzi le aziende facciano, la previsione del futuro è impossibile in un mondo complesso (cum plexum, cioè con nodi, intrecciato).
Il management deve spostare il proprio sforzo dalla previsione degli scenari alla capacità di sopravvivere e competere in qualsiasi scenario. Per farlo deve accumulare sacche di conoscenza inutilizzata, ossia elevati livelli di intangible assets (che vanno dalle competenze, alla reputazione, alle relazioni con il mercato). Questi assets consentiranno di attutire gli eventuali shock, ma soprattutto forniscono nuove opzioni strategiche a disposizione dell’azienda.
Per accumulare questi asset intangibili bisogna ancora una volta partire dai clienti. Ascoltare la voce del cliente, capirne i bisogni, i processi di acquisto e sperimentare con i clienti nuove soluzioni. Un’altra buona pratica è interrogarsi continuamente sui trend di lungo periodo del settore e della società (ageing, servitization, sostenibilità) e su come questi trend impatteranno il nostro business.
La domanda è al cuore del sistema Lean anche nella sua dimensione strategica. Taiichi Ohno insegnava i “5 perché”: chiedersi 5 volte il perché di fronte a un problema, fino ad arrivare alla causa originaria o causa radice. Applicata a problemi strategici, questo esercizio porta ad avviare processi di apprendimento e investimento che creeranno sacche di ridondanza cognitiva, così vitali in un mondo voltatile, incerto, complesso e ambiguo.
PER CONCLUDERE…
Ricordiamoci che anche in un periodo di sconvolgimento globale si può imparare. Come dice Michael Ballé, esperto Lean e autore di diverse pubblicazioni su queste tematiche, di fronte a una situazione come quella attuale, possiamo adottare un fixed mindset o un growth mindset. Se propendiamo per il primo atteggiamento, considereremo l’apprendimento un lusso in questo momento e decisioni “di pancia”, guidate dalle emozioni (angoscia, conformismo, disperazione) prenderanno il sopravvento, rischiando di peggiorare la situazione. Con il secondo atteggiamento, tipico del Lean Thinker, la riflessione, il problem solving sistematico e l’adattamento continuo prevarranno.
Troveremo nuove soluzioni in grado di portarci fuori dalla crisi, magari anche migliorati. La scelta è soltanto nostra!
Autore: Andrea Furlan, Direttore Scientifico Lean Center CUOA