I cambiamenti generati dall’emergenza epidemiologica Covid-19 sono imponenti e determinano già la necessità di una profonda mutazione di molti paradigmi strategici per le imprese impegnate nella competizione internazionale, anche e soprattutto se medio-piccole.
Se solo ci soffermiamo su quelli intorno a cui si è condensata una significativa convergenza da parte dei migliori analisti, possiamo indicare:
- la rimodulazione delle catene di fornitura per attenuare il rischio derivante da nuovi incendi virali di matrice allogena, con il conseguente costituirsi di piattaforme di dimensione continentale rispetto a quelle globalizzate che hanno contrassegnato il trentennio 1989-2019 e con l’accelerazione dei processi di back-shoring (soprattutto nell’area della componentistica)
- il ritorno alle economie di scala e all’integrazione verticale dei processi quali generatrici di efficienza (anche per recuperare quella perduta per effetto delle securizzazioni anti-contagio), con il conseguente accrescimento della dimensione e della complessità dei siti produttivi
- l’espansione di forme di prestazione lavorativa svincolate dai parametri tradizionali del tempo e del luogo, con la conseguente focalizzazione della loro regolazione e della loro remunerazione sul ‘risultato’
- la vocazione etica e comunitaria delle organizzazioni aziendali quale presupposto della loro legittimazione sociale e l’orientamento alla responsabilità delle condotte organizzative individuali e collettive, con la conseguente intensificazione dei processi funzionali all’attivazione di modelli di governance trasparenti, affidabili e ‘plurali’
- la diffusione di esperienze di economia mista pubblico-privata in filiere manifatturiere ‘nazionali’ un tempo estranee al diretto presidio statale e anche in imprese di taglia media e l’adozione di prassi istituzionali di natura concertativa finalizzate a interventi di ‘politica industriale’ anche a livello regionale (modelli meso-corporativi)
- la significatività delle relazioni industriali, ma ricomposte in chiave partecipativa sia sul versante dell’organizzazione del lavoro, sia su quello dei processi di consultazione e di contrattazione, sia su quello delle forme di retribuzione.
Uno scenario siffatto esige un approccio radicalmente nuovo da parte dell’imprenditoria italiana, soprattutto quella nordestina a vocazione familiare, con un viraggio vigoroso dalla consuetudinaria concezione ‘’proprietaria’’ dell’azienda a una nuova e scandita concezione ‘’istituzionale’’ e con il dispiegamento di competenze tecnico-gestionali articolate e sofisticate quali possono essere possedute solo da un management esperto e internazionalizzato. Si rende dunque urgente e necessaria una ‘’alleanza sul campo’’ tra ceto imprenditoriale e ceto manageriale, nella comune consapevolezza di essere insieme, e solo insieme, ‘’ceto dirigente’’ che agisce nell’interesse generale del Paese.
Tale alleanza può trovare una efficace modalità di dispiegamento attraverso il ricorso strutturato al Temporary Management, vale a dire attraverso l’immissione, per periodi di tempo limitati ma congrui, di competenze dirigenziali di speciale qualità e intensità, al fine di iniettare nelle culture aziendali oggetto dell’intervento attitudine vera e forte al cambiamento insieme con esperienze articolate e mature in grado di riprodursi in ambienti diversi e ricettivi in relazione alla loro intrinseca vocazione ‘pedagogica’.
E può essere favorita, se non addirittura indotta, dal sistema bancario, impegnato in un complesso e difficile riposizionamento della propria funzione creditizia, chiamata a un’inedita capacità di interpretazione delle scelte e delle prospettive competitive delle PMI, da valutare soprattutto in termini di adeguatezza manageriale a governare le tensioni ingenerate dal turbinoso mutamento degli scenari tecnologici, organizzativi e concorrenziali.
Autore: Maurizio Castro, Direttore Scientifico Executive Master in Turnaround & Change Management.
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