Circa 6 anni fa, partendo da un report dello SMAU, avevamo scritto un editoriale per capire se i Big Data fossero veramente utili per le PMI.
La domanda oggi è capire com’è l’evoluzione dei Big Data nelle PMI.
Perchè le PMI?
Il primo punto da chiarire è perché selezionare le piccole e le medie imprese.
Si è scelto di considerare le PMI poiché come ben evidenziato dall’istituto di statistica della Commissione Europea, queste ultime rappresentano il 99% delle imprese operanti all’interno dell’Unione Europea e perché gestiscono circa il 75% del totale dei lavoratori.
Questo significa che buona parte della crescita economica, dell’innovazione e dello sviluppo sociale deriva dal loro operato.
Prendendo il report 2018 dell’Osservatorio Big Data Analytics del Politecnico di Milano* si può però notare che solo il 12% delle PMI Italiane ha sviluppato un progetto legato agli analytics, per un valore complessivo di circa 170 milioni di euro. L’incremento rispetto all’anno precedente è stato però del 23%. Solamente il 23% delle PMI ha introdotto almeno un Data Analyst e appena il 16% ha inserito un Data Scientist nel proprio organico.
Nel report si può vedere anche lo sviluppo per settore.
Nello specifico nel 2019, le banche sono al primo posto per quote di mercato con il 28% della spesa, seguite da manifatturiero (24%), telco e media (14%), servizi, GDO e retail (8%), assicurazioni (6%), utility (6%) e PA e sanità (5%).
Come ben evidenziato da Di Deo** (2018), le cause collegate al rallentamento nello sviluppo dei Big Data si possono raggruppare in 3 macro-categorie:
- solitamente gli strumenti di analytics (e quindi anche i Big Data) vengono considerati come costi e non come investimenti
- la scarsa conoscenza del risk management, e quindi la sottovalutazione dei rischi legati alla gestione e al mantenimento delle informazioni sensibili dei clienti. In molti casi tali processi non sono conformi al GDPR (General Data Protection Regulation)
- la mancanza di competenze specifiche sul tema.
A mio avviso è proprio quest’ultimo il principale freno allo sviluppo dei Big Data e più in generale degli analytics.
Il problema non è solamente quello di reperire o formare (internamente) esperti in Big Data, ma anche quello di non avere un approccio basato sui dati (data-driven approach).
Il primo passo potrebbe essere quello di creare delle conoscenze e delle competenze “comuni” a tutti i dipendenti presenti in azienda, per conoscere e gestire al meglio le informazioni aziendali.
Come ben evidenziato dal prof. Polleres dell’Università WU di Vienna: “To make the right decisions in marketing and sales as well as executive positions, these skills are non-negotiable”.
Se alla mancanza di competenze e cultura, associamo anche la cattiva gestione delle informazioni interne, si può ben capire perché solamente il 12% delle aziende utilizzino gli analytics per fare modelli previsionali.
In altri casi, invece le informazioni esterne che si raccolgono sui clienti o sui potenziali clienti, sono per lo più dati generici e casuali, che non si sa bene quando, ma soprattutto, come utilizzare all’interno dei modelli previsionali.
Il rischio è quello di aumentare la quantità dei dati a discapito della qualità degli stessi.
Pertanto, per avere un vantaggio competitivo, i dati dovrebbero essere raccolti in modo mirato e poi elaborati idealmente da diversi membri del personale in posizioni chiave con le necessarie competenze.
In altre parole, i dati dovrebbero fornire alle aziende le informazioni utili per diventare più efficienti e redditizie. Rispetto a 6 anni fa, anche i software per analizzare i dati sono cambiati e fortunatamente il loro utilizzo risulta essere molto più semplice rispetto al passato.
Per ottenere questi benefici, come si è già evidenziato nel 2014, si arriva alla medesima conclusione.
Le aziende dovrebbero analizzare ed eventualmente riprogettare la propria struttura organizzativa e informativa, rimodulando il business model, i processi e le competenze dei propri collaboratori attraverso una visione sistemica, in cui la tecnologia non dovrebbe essere l’obiettivo ma lo strumento per facilitare il vantaggio competitivo.
Autore: Alessandro Zardini, Coordinatore didattico Executive Master in ICT Management di CUOA Business School
*Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence (2019). “Strategic Data Science: time to grow up!”.
**Di Deo, I. (2018). “Big Data e PMI italiane: grandi opportunità per piccole imprese!”. blog.osservatori.net/it_it/big-data-e-pmi-italiane
PERCORSO CONSIGLIATO:
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