Nella mia carriera mi è stato chiesto come trovare costantemente stimoli e come trasmetterli alle persone parte del proprio team, soprattutto in contesti di forte tensione dovuti alla volontà di raggiungimento del risultato.
Per rispondere a questo quesito ho cercato di razionalizzare il mio pensiero studiando varie tesi, una delle quali, resa nota da Simon Sinek, scrittore nonché docente di comunicazione strategica al master della Columbia University, ben definisce il mio approccio alla leadership.
È doverosa una premessa: la scuola di business americana da sempre ci insegna che si ottiene ciò che si misura e che si misura ciò che si conosce.
Da questo breve inciso è facile comprendere come sia fondamentale non solo conoscere e, quindi, misurare, ma anche porsi obiettivi tangibili e concreti. Nel business, quantomeno a partire dalle PMI minimamente organizzate, questi obiettivi sono normalmente trimestrali, semestrali o annuali. Questa cadenza temporale ha una ragione piuttosto semplice: si tratta delle scadenze con cui l’azienda è normalmente chiamata ad adempiere ai propri oneri fiscali o a pubblicare i propri risultati in occasione delle relazioni ai soci.
Se è vero, quindi, che vi sono dei termini, allora siamo di fronte a una visione definita del tempo, una visione secondo la quale a ogni fine periodo ne segue l’inizio di uno nuovo, in cui confrontarsi coi propri avversari, ossia i nostri competitors.
James P. Carse, professore teologo alla New York University, scriveva invece che vi sono due tipi di games, quello finito e quello infinito: il primo è giocato da giocatori definiti, secondo regole condivise e con l’obiettivo di vincere; il secondo, invece, è giocato da giocatori conosciuti e non, secondo regole mutabili nel tempo e con l’obiettivo di continuare a giocare.
Questi concetti, se applicati al business, ci consentono di affermare che siamo parte, spesso inconsapevole, di un gioco infinito. Certamente possiamo essere vincitori di una partita di calcio o agli scacchi, ma possiamo definirci vincitori nel business? Secondo quali criteri? Revenues? EBITDA? Turnover dei dipendenti? La risposta è evidentemente negativa: possiamo, infatti, essere considerati come l’azienda di riferimento in quel dato momento, un benchmark con cui tutti vogliono confrontarsi, ma si tratterebbe comunque di un riconoscimento assolutamente definito nel tempo, una posizione di primazia che potrebbe cambiare in ogni momento, anche per ragioni legate a fattori esterni, per definizione estranei al nostro controllo. Siamo dunque sicuri che l’obiettivo tangibile e concreto sia essenziale per la crescita aziendale? O forse bisogna cambiare il nostro pensiero a favore di un miglioramento continuo lasciando all’obiettivo un ruolo secondario e strumentale?
Un manager consapevole di partecipare ad un gioco infinito si focalizza sull’evoluzione continua e trova stimolo nella sensazione di progresso, di avanzamento, e ciò a prescindere dalla classifica: in questo senso, la singola risorsa si sente parte di un progetto comune e condiviso, un progetto in cui lo scopo è quello di aumentare le proprie competenze attraverso un miglioramento costante delle proprie debolezze. Non vi sono avversari da battere ma, piuttosto, rivali dai quali trarre spunti di miglioramento. In altre parole, il miglioramento deve essere percepito come una necessità, senza limite temporale alcuno, anche laddove s’intenda parlare di eccellenza o si raggiunga una posizione di supremazia secondo criteri condivisi, qui da escludersi. L’essere leader significa trasmettere questo bisogno, che definirei quasi viscerale, e non imporre pressioni per il raggiungimento di un risultato di breve termine creando un sentimento di tensione e paura poco coadiuvante per la crescita. Al salesman dobbiamo chiedere di valutare ogni opportunità di business non per il risultato immediato, bensì per sostenere un progetto più ampio: in questo senso, non ha importanza il singolo ordine di vendita -magari a margine ridotto- per il raggiungimento dell’obiettivo mensile o annuale, ma ne ha il cliente con cui possiamo instaurare una relazione costruttiva e strategica. Si tratta di un esempio che per alcuni può sembrare banale, ma che ben descrivere l’ossessione che le aziende hanno, oggigiorno, per l’obiettivo a breve termine, perdendo di vista quel miglioramento continuo che fa sentire l’individuo parte di una causa comune e di un progetto per il quale vale la pena, altrettanto banalmente, rifiutare un’offerta economicamente più vantaggiosa per costruire qualcosa di duraturo nel tempo, all’interno di un gioco infinito. Ed ecco che, alcuni, parleranno -in modo errato- di vincitori.
Autore: Paolo Vettoretto – International Sales Manager BU Sun Shading Solutions presso TheNiceGroup, Alumnus Master CUOA