Come una corretta gestione delle postazioni di lavoro può aumentare la produttività.
Qualche anno fa, all’inizio della mia carriera lavorativa, un collega mi disse, a proposito di una scrivania molto disordinata: “In fondo, chi non mangia non fa briciole”.
All’epoca mi parve una metafora piuttosto azzeccata, partendo dall’idea che mucchi di carte, quaderni aperti, penne e matite sparse fossero indice di una persona che si dava parecchio da fare.
Analogamente, ricordo visite da fornitori in cui l’affidabilità degli stessi veniva valutata anche da quanto “movimento” si notava in produzione, come se fosse un valore il livello di entropia all’interno dei reparti: una produzione troppo ordinata dava l’impressione di poco lavoro, mentre una produzione con movimento di persone e cose veniva intesa come maggior garanzia di efficienza; per poi rendersi conto col tempo che i bancali di materiale tra due postazioni e il personale continuamente avanti e indietro tra stazioni di lavoro, magazzini e attrezzerie erano evidenti segni di spreco e quindi di inefficienze, che si riverberano poi sul costo di acquisto del componente.
Al giorno d’oggi, anche grazie all’aumentata diffusione del pensiero snello – che anche laddove non applicato in maniera sistemica, comunque viene almeno in parte percepito e considerato – si è ampiamente superato questo modo di intendere e di vedere le organizzazioni produttive.
Tuttavia, posso dire, anche per esperienza personale, che in molti casi non si è ancora capito come la creazione di un posto di lavoro salubre, comodo, improntato all’attenzione per l’ergonomia, possa diventare un mezzo per aumentare la produttività.
In questo momento storico in cui ha preso piede, più per cause forzate che per naturale propensione, quello che, a volte impropriamente, viene chiamato “smart working”, ci siamo tutti trovati, chi più chi meno, a dover approntare una postazione di lavoro casalinga. E facendolo, ci siamo resi conto di quanto sia importante avere un monitor adeguato, la cancelleria che ci serve a portata di mano, di trovare il materiale che dobbiamo consultare in posizione comoda, e magari che sia sempre quella. Ma ci siamo anche resi conto che abbellire la postazione, con una pianta, un quadro, o potendo godere di una bella vista, rende più piacevole sedersi alla scrivania e iniziare la giornata di lavoro.
Il concetto però va esteso alle aziende, sia in ambito “office” che in ambito produttivo.
E va riferito non soltanto alle postazioni di lavoro, ma a tutta l’organizzazione aziendale, con una modalità che dev’essere dapprima top-down, ossia guidata dalla proprietà e dall’high management, e poi bottom-up, ossia attraverso il recepimento delle istanze e dei suggerimenti di tutto il personale.
È una questione di cultura.
L’imprenditore in primis, o il CEO, o l’Amministratore Delegato, devono rendersi conto di quanto sia importante instillare la cultura della cura del proprio posto di lavoro e degli ambienti comuni in azienda, perché una volta acquisite come normali, ovvie, consuete pratiche, cioè una volta che un certo modo di lavorare e di gestire l’ambiente di lavoro diventa uno standard, il maggior contributo arriva proprio dai collaboratori, a qualsiasi livello.
Ma all’atto pratico, come si attua tutto questo?
Innanzitutto, partendo dai valori dell’azienda. Ogni organizzazione dovrebbe dotarsi di una carta dei valori, che debbono essere pochi, chiari, presenti in azienda e riconoscibili.
Poi, investendo nella cura degli spazi, che si tratti di capannoni o di uffici: tinteggiando, creando postazioni semplici ma confortevoli, delimitando correttamente le superfici e le aree di manovra nei reparti, ristrutturando bagni e spogliatoi, curando l’illuminazione e le condizioni termo-igrometriche degli ambienti, prevedendo una corretta areazione degli stessi.
Quindi, coinvolgendo le persone tutte, aprendo cantieri 5S negli uffici e in produzione. Curando in particolare la “quinta esse”, molto spesso dimenticata: Sustain (Shitsuke, nella versione originale giapponese). Perché per ottenere l’adesione prima, e il contributo delle persone poi, è fondamentale che le attività non siano fini a sé stesse, ma continuamente alimentate e sostenute, appunto.
L’obiettivo dev’essere che a fine giornata gli operatori trovino naturale riporre in ordine i propri attrezzi, negli spazi preposti e magari preventivamente igienizzati; che chi lavora in ufficio trovi naturale e utile pulire la propria scrivania alla sera prima di timbrare il cartellino, riponendo eventuali faldoni, testi, norme, cataloghi al loro posto per permettere l’indomani che qualunque collega li possa trovare, che tutti debbono sapere dove il materiale di uso comune è dislocato; che quando si lascia una sala riunione si lasci l’ambiente in condizioni ottimali per chi arriva dopo, controllando di aver gettato bicchieri e bottiglie di plastica, di aver ripulito il tavolo, di aver riposto cavi e adattatori, di aver spento i monitor o i proiettori!
Mi permetto un piccolo suggerimento a proposito dell’uso della cancelleria. Per quanto riguarda la cancelleria “leggera”, ossia penne, matite, evidenziatori, gomme da cancellare e così via, che ne pensate di responsabilizzare ogni collaboratore e renderlo autonomo nell’acquisto del proprio materiale, eventualmente prevedendo un fisso mensile come nota spese (5 € al mese, per un’azienda con 50 collaboratori sono 1,200.00 € l’anno)? A fronte di un piccolo esborso per l’azienda si eviterebbe il ricorso selvaggio all’armadio della cancelleria, con razzie di penne, correttori, graffette, magari portati a casa perché “non si sa mai”, o peggio ancora dover assegnare a una persona l’ingrato ruolo di guardiano e contabile dell’armadietto, che è alla fine uno spreco di tempo e denaro, in quanto pura inefficienza.
Si otterrebbe il duplice risultato di risparmiare soldi, e di rendere le persone protagoniste nella cura del proprio materiale di lavoro.
Perché la cultura genera comportamenti virtuosi, e i comportamenti virtuosi generano ambienti favorevoli al proliferare di idee, collaborazione ed efficienza.
E il lavoratore occupato in un’azienda con tali caratteristiche ne riconosce il valore e diventa egli stesso artefice del miglioramento.
Poter raccontare dell’organizzazione, della pulizia, dell’attenzione a persone e cose all’interno della propria azienda diventa, infatti, motivo di orgoglio.
Autore: Simone Dato, Alumno Master in Lean Management 14ª edizione
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