Camminare nelle fabbriche delle imprese cosiddette “world-class” (eccellenti) è un’esperienza che rivela quanto lo scenario di oggi sia profondamente diverso da quello di solo pochi anni fa.
Ormai queste fabbriche sono diventate grandi laboratori nei quali si sperimenta continuamente.
Le tecnologie digitali sono dei catalizzatori importanti di questa sperimentazione: nuovi sistemi di pianificazione intelligente (MES/MOM), sensoristica per la raccolta dati, tecnologie wearable per la raccolta e distruzione, in tempo reale, di informazioni di processo.
Le tecnologie di produzione non esauriscono la portata innovativa che le fabbriche devono gestire. L’introduzione sempre più veloce di nuovi prodotti e business model richiede continui aggiustamenti dei sistemi produttivi.
I cigni neri (l’ultimo dei quali, il COVID-19, ci fa ancora sentire la sua cupa presenza) provocano grossi problemi nell’organizzazione interna ed esterna delle filiere, costringendo la macchina produttiva ad adattamenti improvvisi.
Sorge spontanea una domanda: il Lean Management è sufficiente in questo scenario?
La risposa è sì e no. O meglio, il Lean è necessario ma non sufficiente.
Il Lean Management è una disciplina che si fonda sulla massimizzazione del valore del cliente, attraverso la riduzione degli sprechi e il recupero di efficienza interna (Hopp and Spearman, 2021).
Secondo i padri del temine Lean, Womack e Jones, “What distinguishes Lean thinking and practice is that it did not derive from theory, but through observing business practices at Toyota that deliver superior performance in terms of time to market for new products and better product quality using less capital and human effort and hence lower costs in production” (Womack and Jones, 2016).
Da queste poche righe si capisce che il Lean nasce per migliorare i processi esistenti. Intendiamoci, il Lean si basa sul cambiamento, ma un cambiamento che inizia dall’osservazione dell’esistente e avviene per piccoli stadi, attraverso una diffusa adozione del pensiero scientifico. Per costruzione, il Lean non è quindi equipaggiato ad affrontare salti tecnologici o di business discontinui.
Ora, quando questi salti sono poco frequenti si può mantenere separato il Lean dalla parte dell’organizzazione che si occupa di innovazione. Ma cosa succede quando questi salti sono frequenti e poco prevedibili?
Nel recente libro di John Turner, Nigel Thurlow, Brian Rivera “The Flow System: The Evolution of Agile and Lean Thinking in an Age of Complexity”, gli autori scrivono “If one is dealing with low levels of complexity or with a complicated system that has little to no level of complexity, then the Toyota Production System (Lean) tools and improvements provide a high degree of success for any organization or institution. When dealing with higher levels of complexity, a new framework is necessary”.
Il Lean si adatta a sistemi complicati dove i problemi sono definibili, si possono identificare relazioni di causa effetto (root cause analysis) e si possono applicare best practices. Quando il contesto diventa complesso, ossia imprevedibile e caratterizzato dai cosiddetti unknown unknonwns (problemi dei quali non siamo consapevoli), il Lean entra in crisi. Nasce l’esigenza di adottare un nuovo framework.
Quale è questo nuovo framework? Gli autori sviluppano un sistema che chiamano “The Flow System” che unisce le teorie sui sistemi complessi, sulla leadership distribuita e sulle dinamiche di team. Gli autori definiscono esplicitamente questo sistema come l’evoluzione del Lean Thinking.
La mia posizione è duplice.
Il Lean è necessario perché punta all’eccellenza dei processi esistenti e prepara il terreno per lo sviluppo di sistemi agili di gestione dell’innovazione.
Per questo bisogna costruire organizzazioni ambidestre, ossia organizzazioni che siano in grado, all’interno dello stesso contesto, di perseguire miglioramenti incrementali e gestire innovazioni discontinue.
Seguendo Kotter (2016), abbiamo bisogno di sistemi operativi duali: imprese che siano in grado di adottare e gestire logiche organizzative contrapposte (gerarchia e network), non attraverso una separazione strutturale (alcune funzioni si occupano dell’efficienza, mentre altre dell’innovazione), ma attraverso la generazione di contesti che sviluppano persone ambidestre. Ossia, persone che abbiano la capacità, la proattività, la motivazione e la libertà di spendere il proprio tempo sull’uno o sull’altro fronte.
Nel loro lavoro le persone spesso si trovano di fronte alla decisione di come spendere il loro tempo: dovrei continuare a focalizzarmi su come migliorare i processi esistenti o esplorare nuove tecnologie di produzione? Normalmente questa dicotomia è risolta attraverso la gerarchia: è il ruolo all’interno dell’impresa che stabilisce se la persona si dedicherà alle attività di exploitation (efficienza) o exploration (innovazione).
Nelle vere organizzazioni ambidestre, il contesto organizzativo è sufficientemente dinamico e flessibile da permettere agli individui di decidere come dividere il proprio tempo. È il contesto organizzativo che crea questa possibilità, non sono quindi le caratteristiche della persona.
La sfida è quindi imparare a creare la nuova organizzazione duale.
Autore: Andrea Furlan, Direttore scientifico CUOA Lean Center
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