di Enrico Marcolin, Production Manager presso Antonio Zamperla S.p.A. e Alumno CUOA
“Valore”, “Lean”, “Digitalizzazione”, “Innovazione”, “Scrum”, “Agile” da qualche anno fanno parte del lessico comune. Abbiamo accesso a infiniti contenuti, anche gratuiti, sul cambiamento aziendale: articoli, webinar, convegni, libri. Autorevoli aziende e professionisti hanno fatto della consulenza sul “change management” la loro essenza professionale, oltre che ragione di successo.
Con tutta questa “ricchezza”, come è possibile riscontrare un così gran numero di fallimenti nella gestione della trasformazione aziendale?
In realtà il termine “cambiamento” sottende molti temi e numerose domande, per esempio:
- che cambiamento: Lean? Agile? Okr? Industry 4.0?
- in quale funzione: HR? Sales? Sviluppo prodotto? Marketing? Produzione? Una funzione alla vota o più in parallelo?
- con quale modalità di intervento? Top-down o bottom up? Oppure entrambi? Con l’impiego di risorse interne o anche esterne?
- in quanto tempo? Cioè, quanto tempo mi concede la mia situazione finanziaria? Il mercato? L’inevitabile passaggio generazionale?
- con quali risorse? Cioè, ho le competenze in azienda? Sono un’organizzazione labour o capital intensive? Quante risorse posso/devo investire per il cambiamento?
Poi ci siamo noi, come persone.
Stamattina sono andato a lavorare e, come ogni giorno, nel mio zainetto con il PC si sono “intrufolate” (professionalmente parlando) le mie ambizioni, aspirazioni, frustrazioni, paure, certezze, competenze e dubbi, così come le mie caratteristiche comportamentali e caratteriali. Ho volutamente lasciato sul tavolo del soggiorno il “quaderno” che riguarda la vita privata, ma non posso garantire che qualche foglio non salti fuori durante la giornata…
Gli obiettivi da raggiungere sono strettamente legati alla collaborazione coi colleghi, ciascuno munito del proprio zainetto, non di rado con “fogli” diversi dai miei: più complessità che si trovano ad interagire per uno stesso obiettivo, molto spesso sfidante.
Per cercare di agevolarci, le organizzazioni strutturano processi dove “incanalare e limitare” le nostre complessità. Purtroppo, per le più svariate ragioni, alcuni sono talmente intricati da divenire essi stessi complessi, incrementando, invece che mitigare, l’intreccio di partenza.
E poi c’è l’azienda nel suo insieme, che presenta tutti questi livelli di complessità. Si trova ad agire in un contesto VUCA dove tutto cambia velocemente, non si hanno certezze, con le ragioni del successo del passato che possono diventare i limiti della continuità aziendale nel presente.
Pensando al Cynefin Framework (Figura 1), in realtà, il cambiamento tout court in un’organizzazione non è solo complesso. È caotico, a mio giudizio anche con alcune punte di disordine.
Il framework prevede risposte diverse per ciascuno “stato” e nel complesso/caotico/disordinato il modello adeguato non è né quello delle best practice, né quello delle good practice. Tradotto: se affrontiamo il cambiamento convinti che sia un percorso lineare, dove sia sufficiente applicare con metodo una serie di tecniche, il processo di cambiamento è affossato ancor prima di iniziare. L’approccio è sbagliato.
La questione è molto, molto, diversa: si tratta di scomporre la matassa.
Sono da identificare gli ambiti riconducibili all’ovvio e al complicato e applicare con metodo e rigore le best e good practice. Nelle situazioni complesse dovremo costruire degli esperimenti e definire il percorso in funzione dei risultati ottenuti. Avremo, infine, gli ambiti/processi che appartengono al caotico: non si potrà neanche sperimentare. Dovremo agire, ALL-IN, senza possibilità di tornare indietro. Al massimo creeremo dei piani per la gestione dei possibili scenari che si apriranno. Attenzione, per conseguire un robusto successo della trasformazione aziendale è imprescindibile affrontare le scelte del caotico. È qui il cuore del cambiamento, e da qui si comanda il processo nelle nostre organizzazioni.
Sul ponte di comando possono e devono starci l’imprenditore/top management, chi ha le chiavi dell’organizzazione. Dobbiamo assumerci la responsabilità delle scelte: non si può delegare. Chi ricopre i ruoli apicali deve avere o costruire la sensibilità al rischio e all’opportunità cui si espone l’organizzazione in funzione delle scelte. La gestione del rischio è onere e onore dell’imprenditore/top management. Non si può sub-appaltare e non dobbiamo cercare sub-appaltatori. Diffidiamo dalle sirene portatrici di risposte pronte, diffidiamo da presunti druidi dalle pozioni magiche, grazie alle quali ci viene raccontato che la strada del cambiamento è lastricata d’oro.
Il prerequisito fondamentale e imprescindibile è avere una visione della nostra organizzazione a cambiamento compiuto. Una visione che guarda oltre. Sarà faro e guida in tutte le decisioni da affrontare, specialmente le più difficili e contrastanti.
I nostri comportamenti dovranno essere coerenti e aderenti alla visione, non possiamo farci sconti. Ne va della credibilità nostra e del progetto nell’intera organizzazione.
Dovremo essere estremamente formati sui vari metodi e strumenti di trasformazione aziendale: studiare tanto e informarci continuamente. Non saremo specialisti di tutto, ma estremamente preparati sulla funzionalità, punti di forza, criticità dei vari metodi.
Un altro elemento fondamentale, durante la fase di trasformazione aziendale, è che il cosiddetto “One man show” non funziona. È fondante essere in un team (almeno tre-quattro persone) che condivide la visione, che si confronta con trasparenza, che colma le reciproche lacune, motivandosi ad esplorare nuove soluzioni. Questo ci aiuterà a saper discernere la categoria di appartenenza delle questioni in esame (Ovvio/ Complicato/Complesso/Caotico/Disordine), in modo da applicare così il metodo/strumento adeguato. Per esempio, se affronto l’ovvio come fosse caotico (Agisco-Percepisco-Reagisco) cado nel dirupo del disordine, affossando il progetto.
Infine, saper utilizzare con intelligenza e spirito innovativo tutti gli strumenti e situazioni a nostra disposizione diviene un atteggiamento fondamentale, specialmente nel complesso/caotico dove è tutto da costruire/esplorare e, a volte, azzardare.
Con questi presupposti, diventa un costante, sfidante, incerto, sfibrante ed avvincente percorso da costruire e vivere in team, coscienti che strada facendo, alcuni si aggregheranno, altri ci lasceranno. Un viaggio infinito, ricco di soddisfazioni e insegnamenti, ma anche di errori e qualche delusione. È in questa matrice che avremo i giusti anticorpi verso gli imbonitori: sapremo cercare e riconosce gli aiuti esterni, imprescindibili perle preziose, per superare momenti di impasse, accelerare alcuni processi, portare nuovi contenuti e/o punti di vista. Ciascuno di noi, con l’intero team sarà chiamato a mettere in discussione, rinnegare e/o rivalidare tutte le convinzioni, le assunzioni, i capisaldi della nostra organizzazione.
Sì, il fallimento è una concreta possibilità. Il fallimento è possibile, ma dovremo essere coraggiosi!!
Guidati dalla visione, ci avventureremo in oceani vasti e profondi che si potranno rivelare anche burrascosi e ostili, ma, ricordiamoci, “Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.
(Seneca).