ImpresealCUOA, 15 maggio 2018
di Paolo Gubitta e Gianni Gajo
A gestire l’Elective MBA Imprenditori dal titolo Private Equity e crescita dell’impresa familiare (16 maggio pomeriggio), saranno Gianni Gajo (fondatore e presidente onorario Alcedo SGR) e Paolo Gubitta (direttore scientifico Area Imprenditorialità CUOA Business School). Riportiamo il dialogo tra i due, che anticipa i temi dell’incontro.
Gubitta – Se si parla di percorsi di crescita delle imprese familiari e in particolare di finanza per lo sviluppo, a Nord Est non si può prescindere da Gianni Gajo, che è unanimemente riconosciuto come il padre nobile della finanza per la crescita. Anch’io, come ricorderai, nel 2006 chiesi a te e a Maurizio Masetti di darmi una mano a progettare l’allora nascente MBA Imprenditori e venni a Treviso per un lungo confronto. Quando e come hai iniziato a occuparti di questa attività?
Gajo – Cominciai più di trent’anni fa: nel 1987. Come sempre succede, non si è trattato di una classica decisione programmata a tavolino, ma della convergenza di alcuni fattori tra loro indipendenti. Io avevo ancora la mia società di consulenza direzionale e di executive search, Gajo & Associati (che continua a operare anche oggi), e conoscevo molto bene il sistema delle imprese del Nord Est, anche perché ricoprivo alcune posizioni di vertice strategico in significative realtà del territorio (in quegli anni ero Presidente SanRemo Moda Uomo, del Gruppo GEPI, che portai alla privatizzazione). Avevo intuito che nelle imprese serpeggiava l’interesse per soluzioni finanziarie non bancarie e per capitali dedicati allo sviluppo del business. La spinta ideologica verso questo mondo vi venne data da un mio compagno di università, che aveva intrapreso la carriera in una grande banca italiana e che aveva trascorso alcuni anni negli Stati Uniti e in Giappone. Fu lui a parlarmi per la prima volta del ruolo emergente delle merchant bank in quei mercati. Poi ci fu l’incontro con Enrico Marchi e Andrea De Vido, e con loro iniziai l’esperienza di Finanziaria Internazionale, che allora era una merchant bank.
Gubitta – A Nord Ovest, la metà degli anni Ottanta coincide con il periodo della Milano da bere. E a Nord Est, com’era il tessuto imprenditoriale in quegli anni?
Gajo – Era molto variegato, naturalmente, ma nel complesso le imprese andavano bene. Alcuni imprenditori avevano capito prima di altri l’importanza di trovare partner interessati a operazioni di co-investimento, cioè persone disponibili a rischiare in un progetto di sviluppo. Tra questi, un imprenditore fuori dal comune fu Massimo Colomban, un autentico purosangue con cui facemmo operazioni molto importanti.
Gubitta – Tu dici spesso che il lavoro delle merchant bank prima e del private equity oggi non è mai finanza pura. Cosa significa?
Gajo – Lo dico e lo ripeto: si tratta di finanza imprenditoriale. Questi operatori, quando fanno bene il loro mestiere, diventano partner dell’imprenditore e della famiglia imprenditoriale e creano un autentico rapporto fiduciario. Insomma, merchant bank e private equity non devono essere finanziarie pure: sono tutta un’altra cosa, perché fanno appunto finanza imprenditoriale di tipo straordinario.
Gubitta – Il mercato del private equity non è propriamente un mercato con tassi di crescita vertiginosa. I dati AIFI (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital, Private Debt) ci dicono che nel 2017 sono state registrate sul mercato italiano del private equity e venture capital 311 operazioni, distribuite su 250 società, per un controvalore pari a 4.938 milioni di Euro, corrispondente ad una riduzione del 40% rispetto all’anno precedente. Se poi entriamo in dettaglio, vediamo che le operazioni di private equity di tipo expansion (investimenti in capitale di rischio realizzato attraverso un aumento di capitale e finalizzato ad espandere un’attività già esistente) sono state solo 45.
Gajo – Questi dati non mi sorprendono, per varie ragioni. Gli operatori di private equity sono generalmente interessati a operazioni di sviluppo e, quindi, hanno interesse per:
1) aziende che vanno tendenzialmente bene, alle quali apportano la finanza necessaria per realizzare progetti di sviluppo;
2) aziende che stanno attraversando periodi di momentaneo squilibrio, di tipo finanziario o per conflitto tra soci, in cui l’operatore di private equity apporta risorse e competenze per superare l’impasse e ripartire;
3) a volte capita di intervenire anche in aziende in via di ristrutturazione, ma solo in casi particolari, perché per questo tipo di interventi esistono operatori ad hoc.
Gubitta – Quindi: aziende che non vanno né troppo bene, né troppo male. Ma perché una famiglia imprenditoriale dovrebbe aprire il capitale per far entrare un fondo di private equity?
Gajo – Ci sono molteplici ragioni. Una di queste è che è molto più facile gestire un’alleanza societaria con un qualificato fondo di private equity per un tempo definito, piuttosto che gestire la sempre più aggressiva competizione concorrenziale per un tempo indefinito e con esiti incerti.
Tale ragione vale anche in caso di alleanze societarie con concorrenti. Il massimo si ottiene da quest’ultima anche con la presenza di un qualificato fondo di private equity.
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A partire dal quadro tracciato nel dialogo tra i due docenti, durante l’elective verranno affrontati questi temi, attraverso un’ampia e variegata casistica:
- L’impresa familiare e la crescita: il raffreddamento dei soci familiari e l’impatto sulla strategie di sviluppo
- Il ventaglio di alternative per finanziare la crescita
- Come agisce e come pensa un Private Equity?
- Dinamiche negoziali e ruolo dell’imprenditore
- Quanto conta la struttura proprietaria dell’azienda
- I familiari del/i socio/i hanno qualche ruolo?
- Il Private equity preferisce operazioni di minoranza o di maggioranza? Perché?
- Quale ruolo per l’imprenditore dopo l’ingresso del Private Equity?
- Quanto conta la presenza di un team di vertice composto anche da manager esterni alla compagine proprietaria?
- Cosa si mette nei patti parasociali?
- Come avviene l’uscita del Private Equity?
Chi è Gianni Gajo?
Gianni Gajo, laurea in Economia all’Università Ca’ Foscari di Venezia e in Psicologia all’Università di Padova, attualmente è partner fondatore e presidente onorario di Alcedo SGR Spa dal 2000 e vicepresidente Fondazione Advar Onlus.
Nel corso della sua carriera professionale, ha ricoperto prestigiosi incarichi, tra i quali: socio fondatore e presidente Finanziaria Internazionale; presidente SanRemo Moda Uomo (Gruppo GEPI); presidente Marzotto; presidente San Paolo IMI SGR; presidente Policlinico di Abano Terme; presidente Ligabue (catering internazionale); vicepresidente operativo e socio di 21 Investimenti; vicepresidente Permasteelisa; vicepresidente Ospedale di Motta di Livenza; delegato alla finanza straordinaria in Confindustria Veneto.