Intervista a Luciano Schiavon, studio LVL Architettura
L’edilizia ha sempre percorso poco e in maniera saltuaria il sentiero dei mercati esteri, un po’ per la tipologia stessa del lavoro, un po’ per la tradizionale struttura delle imprese edili nazionali, le cui dimensioni sono difficilmente paragonabili a quelle della maggior parte dei Paesi esteri. Gli appalti esteri sono però e devono essere considerati come un’opportunità non solo per le grandi società che realizzano grandi infrastrutture; anche i professionisti e le imprese di medio-piccole dimensioni possono prender parte a gare per la realizzazione di opere residenziali, commerciali, industriali non proibitive proponendo come carta vincente la propria italianità nel costruire e i plus della creatività, dello stile italiano e del design che tutti ci riconoscono.
Occorrono competenze integrate, che coinvolgano la fase propositiva degli interventi, la capacità progettuale abbinata a quella realizzativa, finanziaria e gestionale e pertanto “fare sistema”, in una logica di filiera allargata, diventa un imperativo.
Abbiamo chiesto di ripercorrere la storia del progetto a uno dei nostri partecipanti, Luciano Schiavon, titolare con Aurelio Galfetti dello studio LVL Architettura.
“È stato un percorso lungo e impegnativo, a tratti anche difficile, dovendo conciliare il forte coinvolgimento con gli impegni di lavoro. Talvolta ci è sembrato di sprecare tempo trattando argomenti – incentrati ovviamente sull’organizzazione aziendale – così lontani dalle impellenze e dagli interessi della quotidianità, ma invece ci è ora evidente che è stata un’occasione per aprire la mente, per collocare il nostro mestiere in una prospettiva più ampia.
Per comunicare al mondo le nostre idee e le nostre intenzioni, in questo settore come in altri, serve una cura continuativa delle relazioni; ma serve anche una competenza molto più elementare, ma basilare, ovvero la familiarità con la lingua oramai universale, l’inglese. Il primo ed essenziale passaggio di questo percorso è stato proprio il corso di lingua, necessario e propedeutico. Molto utili anche, in questa ottica, i corsi svolti direttamente in lingua inglese.
Inoltre, per persone (purtroppo) oramai lontane dal periodo canonico degli studi, sono state fondamentali le attività di accompagnamento in azienda, vere azioni di consulenza diretta che hanno offerto la possibilità di applicare i concetti teorici alla concreta attività quotidiana, fornendo una traccia per le attività future.
I due study tour, in Polonia e in Azerbaijan, sono stati poi davvero occasioni preziose, con incontri mirati per tipologia e per livello degli interlocutori; in pochi giorni siamo stati coinvolti in una intensa serie di appuntamenti che se avessimo dovuto organizzare autonomamente avremmo impiegato almeno il doppio del tempo, probabilmente non riuscendo a raggiungere determinati soggetti.
Il risultato ottenuto è importante: abbiamo acquisito i criteri per partecipare alle gare all’estero e abbiamo capito, più in generale, come ci possiamo muovere e cosa dobbiamo considerare. Abbiamo assunto quindi una consapevolezza; questo progetto ci ha dato un via, ma è chiaro che per ottenere risultati concreti bisogna mettere in campo un’azione continuativa. Soprattutto grazie ai due viaggi abbiamo capito che le relazioni vanno mantenute, con un presidio nel territorio che, ordinariamente, non può essere fatto che con la costituzione di partnership locali.
Pensando a un bilancio del mio percorso Blueprint, sono rimasto colpito dalla rigorosa organizzazione delle attività e dal loro puntuale svolgimento e, ancor più, dall’elevato livello dei docenti. Se dovessi oggi dare un suggerimento per la progettazione di future iniziative per questi settori, direi che è importante considerare le diverse prospettive e i diversi punti di vista di chi progetta (architetti e ingegneri), e di chi realizza e fornisce (imprese edili e aziende di fornitura). Il lavoro insieme è stato stimolante per alcuni versi, ma difficile da contestualizzare per altri.