9 luglio 2019
Imprese al CUOA n.51
di Diego Campagnolo*
Fare strategia in un mondo che cambia implica la capacità di risolvere trade-off.
Il più importante di questi è nell’essenza stessa della pianificazione strategica che richiede scelte di medio-lungo termine e capacità di adattarsi al cambiamento. Diego Campagnolo, ci illustra come provare a risolvere questo trade-off. Articolo tratto dal suo intervento durante la Cerimonia di consegna dei diplomi MBA ai 28 imprenditori che hanno completato MBA Imprenditori 12ª edizione venerdì 28 giugno 2019.
L’impresa è chiamata oggi, più che in passato, a saper gestire trade-off, ovvero situazioni nelle quali le alternative di azione sono tra di loro non percorribili simultaneamente. La scelta di percorrerne una preclude – spesso – la possibilità di percorrere l’altra. Tutta la strategia, potremmo dire, si basa su questo.
Se negli anni ’80 del secolo scorso si poteva affermare (con scarsa possibilità di essere smentiti) che l’impresa doveva (e poteva) scegliere se cercare di offrire maggior valore (con logico riconoscimento di un premium price) o un prezzo più basso (con logica conseguenza di offrire un valore inferiore, purché accettabile), ora tutto il mercato richiede di avere contemporaneamente un valore elevato ma a prezzi bassi. Tenere assieme prezzo e valore è una delle sfide da affrontare.
Prima ancora delle scelte di cui sopra, il paradosso con cui l’impresa si confronta sta nell’essenza stessa della pianificazione strategica.
Giornali e riviste scientifiche sono piene di considerazioni e analisi sulla complessità dell’ambiente competitivo in cui viviamo. Le imprese lo sperimentano quotidianamente. I mercati (di sbocco, delle materie prime, e anche del lavoro) sono diventati complessi: le forze in gioco sono molte, interagiscono tra di loro secondo schemi sempre meno stabili e consueti.
L’esperienza, accumulata negli anni, rischia di diventare velocemente obsoleta, al limite prima ancora di avere manifestato un’effimera utilità. Le risorse sono scarse. Si dirà, lo sono sempre state. Ma lo sono in modo diverso. Nuovi attori (leggasi i cosiddetti mercati emergenti) entrano nello scenario competitivo, reclamano l’accesso alle risorse che spesso ottengono con logiche nuove.
Fare fronte a tutto ciò richiede agilità: miglior capacità di leggere e – possibilmente – di anticipare i trend, capacità di dare significato a ciò che accade, capacità di formulare scelte che si traducono in modelli di business nuovi, capacità di mobilitare le risorse necessarie e, non meno importante, capacità di creare una cultura del cambiamento continuo. È qui che si annida il paradosso della pianificazione strategica: quale è il senso della pianificazione in un mondo in continua evoluzione? Perché pianificare, nel medio-lungo termine, se il contesto richiede variazioni e adattamenti continui?
Per rispondere a queste domande bisogna partire da un punto fermo:
pianificare la strategia in un mondo che cambia rimane una competenza essenziale dell’impresa e dell’imprenditore in primis.
In altre parole: la pianificazione strategica conserva del tutto il suo valore. Quello che cambia è il modo di farla.
In primo luogo, è opportuno iniziare a “utilizzare il plurale”.
L’impresa non opera in un unico contesto competitivo (salvo rare eccezioni) ma in tanti contesti competitivi in funzione dei prodotti che realizza, dei mercati in cui opera, delle tecnologie che utilizza. Ciascuno rappresenta un’arena competitiva che richiede analisi specifiche onde evitare il rischio della semplificazione e della generalizzazione. L’impresa, quindi, non si può permettere di perseguire un vantaggio competitivo. L’impresa deve ricercare continuamente nuovi vantaggi competitivi occupandosi della loro manutenzione nel tempo (McGrath, 2013). Plurali dovrebbero essere anche i processi decisionali che riguardano la strategia, coinvolgendo più persone interne ed esterne all’impresa per aumentarne il potenziale di innovazione ma senza dimenticare la necessità di decisioni tempestive.
In secondo luogo, in un contesto complesso e incerto, è opportuno utilizzare con maggiore frequenza gli schemi di analisi del contesto competitivo per verificarne costantemente evoluzioni e possibili sviluppi.
Per la ricerca di un vantaggio sui concorrenti non c’è alternativa all’analisi del contesto esterno e alla ricerca di un modo originale per trarne vantaggio velocemente, attivando le risorse adeguate (Rumelt, 2007).
In terzo luogo, formalizzare i processi decisionali che interessano la strategia partendo da vision, mission e valori della cultura organizzativa.
Tutte le imprese dovrebbero avere, avere chiari, e condividere questi tre elementi. Rappresentano gli aspetti invarianti in un contesto in continua evoluzione, l’anello di congiunzione tra l’instabilità del contesto competitivo e la stabilità della pianificazione strategica. In altre parole, sono l’elemento che risolve il paradosso, facendo in modo che la complessità del contesto competitivo (esterno) non si traduca in incertezza, frustrazione, instabilità del contesto organizzativo (interno). Sapere e far sapere perché l’organizzazione esiste (vision), quale è il suo modello di business (mission) e il modo (cultura organizzativa) con cui lo realizza, coinvolgono direttamente il “mestiere” dell’imprenditore di oggi, sia nella piccola che nella grande impresa.
Fare strategia in un mondo che cambia è inevitabile, non è semplice ma è possibile. Molti imprenditori già lo sanno e questa è una buona notizia. Non solo per le loro imprese.
Fonti:
Lovallo D.P., Mendonca, L.T., 2007, “Strategy’s strategist: an interview with Richard Rumelt”, The McKinsey Quarterly, August.
McGrath R.G., 2013, The end of competitive advantage: how to keep your strategy moving as fast as your business, Harvard Business Revew Press (traduzione italiana: La fine del vantaggio competitivo. Ripensare la strategia per stare al passo con il mercato. 2019, ROI Edizioni, Macerata).
*Diego Campagnolo, direttore scientifico di MBA Imprenditori e Professore Associato di Organizzazione Aziendale all’Università di Padova