di Roberto Filippini*
I nativi digitali utilizzano quotidianamente tutto ciò che la rete e i sistemi digitali mettono a disposizione. Se vanno in negozio per provare scarpe e maglie, l’acquisto lo fanno poi nel web. Basta un click e in pochi giorni il pacco arriva a casa. Non immaginano che dietro quel “click” si scatena l’inferno.
Una massa di informazioni, di movimenti e di azioni rendono possibile ciò che fino a poco tempo fa era inimmaginabile.
Amazon ha aperto la strada e gestisce milioni di click e di consegne ad una velocità incredibile. Chi ha progettato tutto ciò? I cosiddetti tecnici, gli ingegneri informatici? Certo loro hanno fatto una buona parte del lavoro, ma il progetto, l’idea di dare quel tipo di servizio con un nuovo business è opera degli agenti dell’innovazione che sanno studiare il mercato, i suoi bisogni, anche quelli latenti e sanno cosa avrà “valore” per i clienti. I tecnici sono in generale disponibili, ciò che manca oggi alle aziende è la figura dell’agente di innovazione che sappia leggere più in là e sappia dare indicazioni ai tecnici su come innovare il business sfruttando tutto ciò che il digitale mette a disposizione.
Andare a cena con gli amici è piacevole soprattutto se il cibo è buono e non si deve aspettare troppo tempo per essere serviti. Il successo di un ristorante dipende anche da queste capacità. Oggi è più facile fare cibi buoni in tempi rapidi grazie ai forni di cottura intelligenti, connessi fra loro in cloud.
Mc Donald, ad esempio, monitora i forni dei vari ristoranti, previene i malfunzionamenti, le fermate, dà agli operatori informazioni per operare al meglio. Gestisce milioni di dati per dare migliore servizio e maggior “valore” ai propri clienti.
Novak Djokovic e Roger Federer il 14 luglio si sono sfidati per cinque ore in cinque combattutissimi set nella finale di tennis a Wimbledon. Solo alle ultime battute la partita è stata vinta per un soffio da Djokovic. Sempre più i tennisti mostrano un livello altissimo e simile di preparazione e di gioco. C’è di mezzo qualcosa di digitale in tutto ciò? Forse. La racchetta utilizzata in allenamento può essere intelligente e connessa con la App dello smartphone per misurare il tempo di gioco dritto e rovescio, i servizi, le volée, la potenza del top spin e tanto altro. Insomma una massa di (big) data che danno valore al giocatore per saper passare a livelli sempre più alti correggendo errori e performance non ottimali.
Gli esempi di business di successo che sfruttano ciò che l’innovazione digitale mette a disposizione sono tantissimi: nel campo della salute, della mobilità, della sicurezza, nell’agricoltura, nella comunicazioni e così via.
Il mondo, l’economia e le organizzazioni stanno cambiando come non mai.
È facile tutto ciò o le aziende incontrano difficoltà? Sanno cosa fare? Sanno come fare? Spesso sono impreparate e incerte su da farsi.
I nativi digitali possono dare un contributo a questa trasformazione.
Possono diventare il perno di questo cambiamento purché sappiano passare da semplici “utenti” dei servizi digitali ad attori, a progettisti di nuovi business, dialogando con le altre figure in azienda, in particolare interagendo con i tecnici che tradurranno in pratica le idee di business innovativi.
Per i nativi digitali è però necessario fare un percorso di formazione per sviluppare quelle capacità di fare che la scuola e l’Università non forniscono, ma che puoi trovare in una Business School di alta qualificazione. È un investimento di pochi mesi che ti lancia nella vita come agente di innovazione e con un futuro di successo. Fra le varie offerte disponibili una in particolare è disegnata per formare queste figure professionali, il Master in Business Innovation di CUOA Business School, rivolto ai neo laureati delle più diverse discipline.
*Direttore scientifico Master in Business Innovation