26 luglio 2019
di Martina Gianecchini*
La Legge n. 81 del 2017 ha introdotto in Italia una regolamentazione per il lavoro agile (o smartworking). Qualche commentatore ha notato come – e questo non è una novità – la norma abbia in realtà regolato forme di lavoro già ampiamente utilizzate nelle imprese in modo informale. Al di là delle previsioni della legge, la cui introduzione ha comunque spinto molte aziende a proporre questa modalità di lavoro ai propri collaboratori, è interessante riflettere sul “senso organizzativo” dello smartworking e cioè la progressiva desincronizzazione degli spazi e dei tempi di lavoro.
Lo smartworking mina alla base la “liturgia” del quotidiano esodo delle persone da casa all’azienda e viceversa: nelle stesse ore, con gli stessi mezzi, verso comuni direzioni. La desincronizzazione è oggi possibile per la convergenza fortunata di diversi fattori: da un lato la diffusione delle opportunità di connessione, per cui a gennaio 2019 gli utenti internet attivi erano pari al 92% della popolazione italiana e quelli mobile erano oltre 50 milioni; dall’altro un’esigenza crescente dei lavoratori, quelli giovani in particolare, di modalità di lavoro flessibili che tengano conto dei ritmi di vita personali.
Immaginando contesti lavorativi nei quali gli smartworkers non siano una sparuta minoranza, l’impatto di questi cambiamenti sulle attività di gestione del personale è pervasivo. Si pensi, ad esempio, al reclutamento di nuovi collaboratori: quali caratteristiche personali e competenze dovrebbe avere uno smartworker?
Date per scontate le capacità di comunicare tramite strumenti informatici, si tratta di persone che devono saper lavorare in maniera indipendente e per obiettivi, mantenere alta la propria concentrazione anche in spazi “non tradizionali” di lavoro, collaborare in team virtuali.
Quali percorsi di formazione proporre a queste persone? Probabilmente percorsi a distanza, quali ad esempio Massive Open Online Courses oppure pillole formative che facciano leva su contenuti già presenti on line (ad esempio video di Youtube oppure TEDx).
Come valutare infine il lavoro degli smartworkers?
Questo aspetto è particolarmente importante, perché dibattuti strumenti di controllo, tipo la videosorveglianza che è richiesta da alcune aziende, negano lo spirito di fiducia che sta alla base di una “relazione a distanza” tra lavoratore e impresa. In questo senso, alla Direzione Risorse Umane è chiesto uno sforzo importante per creare, da un lato, le condizioni culturali che permettano a manager e collaboratori di credere nel loro impegno reciproco, anche in assenza di co-presenza fisica, dall’altro, gli strumenti per misurare con frequenza i risultati dello smartworker e riorientare, se necessario, la sua prestazione individuale verso l’obiettivo comune. In una battuta, potremmo dire che lo smartworking ci ricorda che “non esiste libertà senza regole”!
*Professoressa Associata di Gestione delle Risorse Umane Università di Padova e referente scientifica dell’Executive Master in Human Resource Management – CUOA Business School