Sono numerosi i casi di studio in cui il Lean Management ha permesso il salvataggio di aziende in difficoltà, impedendo il licenziamento di lavoratori e trasformando in pochi anni tali imprese in realtà in grado di creare ricchezza, soddisfare i propri clienti e ampliare il proprio volume d’affari.
Tuttavia, mentre il Lean Thinking è divenuto un approccio comune nel mondo manifatturiero, molto meno si conosce delle sue applicazioni nel mondo dei servizi e in particolare nel settore sanitario.
La situazione del sistema sanitario
Considerando l’Europa a 15, l’incidenza del settore sanitario sul Pil è passata dal 7,5% nel 1990 al 10,7% nel 2010. Questo significa che in vent’anni l’incidenza di tale spesa è aumentata circa del 43%. Ogni anno il sistema sanitario richiede maggiori risorse, che non riescono a crescere allo stesso ritmo dei suoi fabbisogni.
Il sistema sanitario occidentale si può paragonare oggi a un’azienda in estrema difficoltà, la cui sopravvivenza non è per nulla scontata, specialmente alla luce della crisi economica che l’Europa sta vivendo.
In molti Paesi europei, dove la sanità è sempre stata uno dei capisaldi del Welfare State, è in atto un acceso dibattito sulla sua privatizzazione, che, come spesso accade nei momenti di crisi, è vista come una possibile via d’uscita. Tuttavia anche negli Stati Uniti, dove invece è presente un sistema di tipo privato, la situazione non è migliore, tanto che nel 2010 la spesa sanitaria ha raggiunto il 17,6% di Pil.
A lungo si è dibattuto su quale fosse il miglior modello di sistema sanitario, ma la realtà dei fatti sta mettendo in luce che sia il modello statunitense che quello europeo stanno fallendo e saranno presto insostenibili.
Il problema dei costi non è l’unico ad affliggere questa realtà: Nel 2000 l’Istitute Of Medicine ha messo in luce tramite il report “To Err Is Human”, come ogni anno negli Usa tra le 44 e le 98 mila persone (a seconda di alcuni parametri usati) perdessero la vita a causa di un errore medico. Anche considerando la cifra più bassa, tali errori si collocavano all’ottavo posto come fattore di mortalità, superando persino gli incidenti stradali.
Risulta quindi chiaro che i problemi della sanità non riguardano solo il vertiginoso aumento dei costi strettamente collegati all’accessibilità delle cure, ma anche la questione qualità.
I fattori comuni alla base della crisi dei sistemi sanitari occidentali sono principalmente due:
1) Negli ultimi cinquant’anni, le scoperte mediche e tecnologiche hanno conosciuto uno sviluppo enorme, ma l’organizzazione dei servizi non è stata rimodellata per seguire l’evoluzione tecnico-scientifica: il risultato è stato che ci si è trovati incapaci di integrare efficientemente queste nuove scoperte, generando migliori cure, ma, al tempo stesso, un vertiginoso aumento della complessità della pratica medica.
2) I servizi sanitari sono stati concepiti per la cura di malattie acute, per le quali un’organizzazione di tipo funzionale sembra essere la più efficace. Tuttavia, dal concepimento di questo sistema, la vita media della popolazione è aumentata, con conseguente aumento delle malattie croniche che necessitano di un altro tipo di cure. È emersa, quindi, la necessità di un’organizzazione che riuscisse a mettere a fuoco una visione complessiva sul paziente e sulla sua storia clinica, puntando su un forte coordinamento tra i dipartimenti, piuttosto che su un’estrema specializzazione delle cure.
In tale situazione di difficoltà, dopo aver provato ogni altra soluzione, alcune realtà ospedaliere hanno visto nel Lean Management la concreta possibilità di creare un sistema che potesse essere economicamente sostenibile, garantendo al tempo stesso una drastica riduzione degli errori.
Come applicare il pensiero snello a una realtà ospedaliera?
Risulta estremamente difficile introdurre tali principi al personale ospedaliero, poiché spesso si pensa che Lean significhi “ridurre le cose all’osso”, chiedere allo staff di lavorare più duramente con minori risorse. Inoltre, è difficile accettare che un metodo utilizzato per la produzione di automobili possa essere adatto alla cura dei malati.
È quindi fondamentale trasmettere subito un concetto: Il Lean non cura le persone, solo il personale con la propria competenza ed esperienza può farlo. Il Lean incide solo sui processi e permette a tutto il personale di svolgere più facilmente il proprio lavoro, con minore variabilità e imprevisti, permettendo di dedicare ogni energia alla cura delle persone.
È proprio dall’idea di processo end-to-end che inizia l’applicazione del Lean alla sanità: qualsiasi miglioramento di una parte del processo fatto senza avere piena conoscenza della sua interezza genera un risultato casuale e imprevedibile a livello finale.
Da questo punto di vista le analisi di un campione di laboratorio rappresentano un esempio paradigmatico: in alcune realtà in cui il Lean Thinking è adottato ci si è accorti che, per ridurre il tempo necessario per svolgere le analisi di alcuni campioni, si erano acquistati dei macchinari molto più grandi e costosi di quelli precedentemente utilizzati. Questi permettevano effettivamente una riduzione dei tempi unitari di analisi, ma richiedevano anche dei lotti molto più grandi per essere analizzati ed era quindi necessario che arrivassero più campioni prima di poterli analizzare, altrimenti la macchina non avrebbe lavorato a pieno carico e il costo unitario di analisi sarebbe diventato eccessivo. Per evitare di perdere troppo tempo i medici in attesa delle analisi iniziavano a visitare altri pazienti con la conseguenza che quando i risultati erano pronti non potevano essere visionati immediatamente. Si era arrivati alla situazione paradossale in cui ogni singola parte del processo lavorava “più efficientemente” secondo gli indicatori utilizzati, generando però delle conseguenze negative sul sistema nel suo complesso, obbligando il paziente a perdere complessivamente più tempo per ultimare il percorso visita+analisi+diagnosi.
L’analisi dei processi end-to-end è quindi basilare per applicare il pensiero snello alla realtà sanitaria. È fondamentale che il personale mappi il percorso del paziente e, per fare ciò, analizzi fisicamente il percorso svolto, che di solito è conosciuto nella sua interezza unicamente dal paziente stesso. Solo conoscendo i processi dall’inizio alla fine è possibile pensare a dei miglioramenti.
Il secondo punto fondamentale si cui si fonda il miglioramento secondo i principi Lean è il riconoscimento delle attività a valore aggiunto: in media ogni 9 azioni svolte all’interno di un processo solo 1 sta creando valore per il paziente (Fillingham 2007). Questo significa che c’è un enorme margine di miglioramento nel concentrarsi nell’eliminazione delle azioni che non aggiungono valore, piuttosto che sul miglioramento delle azioni che già lo aggiungono.
Da cosa deriva un rapporto (1/9) così basso?
L’approccio di tipo dipartimentale-funzionale, oggi presente nella maggior parte degli ospedali, concentra il lavoro degli operatori su quello che avviene all’interno delle singole funzioni, che agiscono fondamentalmente come Silos indipendenti. Nella stragrande maggioranza dei casi non esistono persone o figure responsabili dell’intero “percorso” del paziente, e ci si trova in questo modo a voler ottimizzare il compito che le singole funzioni devono svolgere a scapito di quello che dovrebbe essere il vero obiettivo finale (una cura rapida e senza errori).
Il primo passo compiuto dalle realtà ospedaliere che vogliono intraprendere un percorso di trasformazione alla luce dei principi Lean è la configurazione del modello organizzativo per linee di attività e la ridefinizione del modello teorico di funzionamento dell’ospedale. Le linee di attività sono quelle famiglie di processi affini rispetto al percorso svolto dal paziente, indipendenti dalle patologie da trattare.
L’obiettivo da raggiungere è il passaggio da un modello di tipo dipartimentale funzionale a un modello per linee di processo in cui avere dei value stream manager in grado di raccordare le diverse funzioni e allinearle per far scorrere il flusso del paziente senza interruzioni ne sprechi.
Andrea Cicolella
Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali,
Università di Padova